Il documentario – proiettato questa sera al cinema Anteo di Milano – è l’occasione di riscoprire il valore dell’accoglienza e dell’accettazione in Italia e nel mondo.
In che misura un’utopia è tale per la sua effettiva impossibilità di realizzazione e quanto piuttosto per un’imposizione sociale? A questa domanda risponde il documentario di Shu Aiello e Catherine Catella, mostrandoci attraverso la documentazione della vita all’interno del paese di Riace, in Calabria, una coesistenza non solo pacifica, ma anche estremamente arricchente, di condivisione degli spazi e delle risorse con uomini, donne e bambini immigrati da territori di guerra.
La semplicità e onestà degli abitanti di questo piccolo centro funge da arma rivelatrice di molte sovrastrutture sociali, che spesso diventano dispositivi creatori di quella diffidenza verso chi può risultare altro da noi, ma che poi si rivela sempre molto più simile di quanto un’apparenza, che fa rima con ignoranza, potrebbe portare a pensare.
Partendo dall’iniziativa di singoli individui, tra i quali il sindaco stesso, che rimane sempre in prima linea, la comunità tutta si confà a quel senso di ospitalità e accoglienza che trascende i secoli e i pregiudizi, grazie anche alla consapevolezza che ospitare chi ha bisogno può essere preziosa fonte di arricchimento non solo sociale, ma soprattutto umano. Maggiormente il senso di empatia sì allarga, alla luce della conoscenza delle sofferenze che queste persone hanno subito per poter arrivare fino alle coste italiane, più il nostro modo di esperire il senso di “essere umani” si fa profondo e consapevole.
Ad arricchire la narrazione del documentario si aggiunge anche l’idea di un ciclo storico, che allarga la visione collettiva di cosa sia effettivamente l’immigrazione. Spesso lungo tutto l’arco drammaturgico dell’opera una voce narrante di una donna ci racconta della sua esperienza di migrante da Riace verso la Francia. Il paese stesso si è svuotato con gli anni a causa dell’emigrazione di italiani all’estero, e ora, come se una nuova ondata storica e umana avesse inizio, è diventato meta di accoglienza, e a volte anche di permanenza, di uomini e donne in cerca di un nuovo vivere.
Grazie a una messa in scena che predilige un’immagine rivelatrice di una ruralità archetipica (torna alla mente il bellissimo documentario di Frammartino Le quattro volte, anche questo girato in un luogo molto simile e nella stessa regione) Un paese di Calabria regala allo spettatore un senso di continuità assoluto, non solo tra presente e passato, ma anche tra esperienze comuni di cambiamento e adattamento a nuove realtà. Ed è proprio da questo punto di partenza (o di arrivo) che traspare una visione estremamente naturale dell’immigrazione, libera da ogni propaganda bieca e qualunquista, e consapevole di essere un punto importantissimo della storia di tutti gli uomini.
Presentato a Visions du Réel più di un anno fa, il documentario inizierà un piccolo tour attraverso alcune sale cinematografiche in tutta Italia, prima tappa il cinema Anteo a Milano domani. Proprio in questi giorni per altro nella capitale meneghina avrà luogo una manifestazione di solidarietà per tutti i migranti. Per far capire che l’immigrazione non è qualcosa di relegato e per forza problematico, ma è spesso una delle essenze più vive dentro ogni essere umano.