“Quando hanno costruito il quartiere, era così lontano dalla città che l’hanno chiamato Baia del Re, come il porto artico da cui partì il generale Nobile per il Polo Nord sul suo dirigibile.” Anche la Stadera, d’inverno, era avvolta dalla nebbia fitta che veniva su dai campi della bassa verso Milano. Il fascismo voleva chiamare il nuovo lotto di case popolari 28 ottobre, in ricordo del giorno della marcia su Roma. Ma gli abitanti, appena arrivati soprattutto dal Sud Italia, non ne avevano voluto sapere.
“Qui ci sono moltissime medaglie d’oro della Resistenza — solo in via Palmieri ce ne sono cinque. È un quartiere operaio che ha dato molto all’antifascismo.” Natale Carapellese è consigliere di Zona 5 e ci ha accompagnato per la Stadera, uno dei quartieri popolari storici di Milano. “In alcuni portoni si possono vedere anche due corone di alloro.” Tutti partigiani caduti.
Oggi il quartiere Stadera si è espanso molto dal nucleo originario della Baia del Re, che è tutto di proprietà Aler.
Moltissime costruzioni private oramai fanno sì che lo si possa raggiungere dal centro senza mai vedere ai lati della strada un filo d’erba. Qualche anno fa, in piazza Abbiategrasso, è arrivata la M2 e la zona non è più isolata in mezzo alla campagna — come il vicino Gratosoglio, qualche chilometro più a Sud.
La Stadera è un quartiere multietnico, che fonde una tradizione operaia antica alla nuova immigrazione dall’estero.
“Circa il 50% dei bambini delle scuole è di origine straniera,” ci fa notare Carapellese. Questo è sempre stato un quartiere ricettacolo di immigrazione: oggi di stranieri, un tempo di meridionali in cerca di lavoro.”
“Ci sono tanti fattori positivi e altri negativi,” ci spiega Carapellese mentre ci accompagna in giro per le strade. In effetti, l’impressione che si ha non è di stare in un luogo segnato da tensioni come San Siro o Corvetto. Ci sono senza dubbio difficoltà sociali, ma la Stadera è ancora oggi è un quartiere molto variegato e attivo, ad esempio sotto l’aspetto dell’associazionismo. All’incrocio di via Neera con via Momigliano, c’è la Coop 05, una cooperativa di mamme che ha aperto lo spazio Monée per curare i bambini. “Era uno spazio che circa due anni fa è stato confiscato alla mafia. Poi grazie anche all’assessore Majorino si è riusciti a ricollocarlo ad uso del quartiere.”
Aler, incredibilmente, ha quasi ultimato i restauri delle facciate dell’intero complesso della Baia del Re. Resta solo un caseggiato ancora incartato, che dà proprio su via Montegani — l’arteria principale che conduce al centro città, verso porta Ticinese. “È importante dire che anche se la facciata di queste case è stata restaurata, dentro rimangono ancora notevoli problemi.” Specie nel settore del quartiere che guarda verso il naviglio, le case versano ancora in condizioni fatiscenti. Inoltre, oltre all’aspetto edilizio, le tensioni sociali rimangono ancora molto forti. “In tutto, nel quartiere, sono stati insediati trentadue detenuti agli arresti domiciliari,” ci informa Carapellese. Segno che la creazione di un ghetto non è mai un fenomeno casuale.
Abbiamo parlato con Aldo Ugliano, consigliere comunale del PD residente in questa zona, che la Stadera la conosce bene. “Dentro Stadera le case vengono assegnate a nuclei familiari molto fragili e questo la segna un po’. In genere chi riceve queste case ristrutturate è tra i primi in graduatoria.” Questo significa che versa in condizioni economiche più svantaggiate, e se un blocco viene reso di colpo tutto abitabile è probabile che si crei una concentrazione di situazioni critiche. Un effetto ghetto, appunto.
Nonostante le ristrutturazioni delle facciate, anche qui uno dei problemi principali derivati dalla mala gestione di Aler è l’alto numero di alloggi vuoti. All’interno della Baia del Re c’è un grande edificio completamente vuoto, che ospita settantasei alloggi potenzialmente abitabili domani. “Una volta era uno studentato,” ci racconta Carapellese, “ma poi l’azienda che lo aveva in gestione da Aler è fallita e ora è tutto così da tre anni.”
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Risalendo la via Montegani verso il centro, tra le traverse via Barrili e via Palmieri si trovano le Quattro corti, un blocco di case che negli ultimi anni ha avuto una storia e una gestione diversa da quella delle altre del quartiere. Due cooperative, la Sancarlo e la Darcasa, le hanno ristrutturate e assegnano gli alloggi a prezzi tra il canone ERP e quello libero. “Ci convivono immigrati e italiani, non dico che siano dei giardini ma è tutto meglio gestito — è autogestito. Ci sono anche delle mamme che hanno fondato una banca del tempo per darsi una mano con i bambini,” ci racconta Carapellese.
Le Quattro corti fanno parte del primissimo nucleo del quartiere, della Baia del Re. Vicino, ironicamente, c’è una delle situazioni più problematiche dell’intera zona: un deposito abbandonato di autobus di un’azienda di trasporti lodigiana, che da ormai una decina di anni versa nel degrado più assoluto. Qualche anno fa era nato un progetto per creare un parcheggio da dare in gestione a una cooperativa di ragazzi. Ma la banca che avrebbe dovuto erogare il finanziamento si è tirata indietro all’ultimo minuto, e la situazione è rimasta così com’è. Potrebbe cambiare tutto domani come tra due anni, dato che la situazione non dipende direttamente dall’amministrazione ma dai privati. “I curatori fallimentari che gestiscono la cosa non hanno più risorse economiche,” commenta Ugliano. “Purtroppo in questo caso l’amministrazione può solo limitarsi a sollecitare.”
Negli ultimi due decenni il quartiere Stadera ha subito un lento peggioramento, anche se di recente ha finalmente cominciato a riscattarsi. “I problemi si sono aggiunti nel corso dei decenni. Sono arrivate tante problematiche che, aggiunte a problemi di fragilità che già c’erano, si sono andate a sommare fino alla situazione di oggi.” Le zone più calde si trovano soprattutto attorno a via Neera, che costeggia la Baia del Re, e in via Savoia, dove le case sono di proprietà MM.
Esattamente di fronte alla Baia del Re, c’è una delle parrocchie più importanti della zona, la Chiesa Rossa. La vera Chiesa Rossa, che dà il nome al quartiere e alla fermata della metro, in realtà è sul Naviglio e la sua costruzione risale all’ottavo secolo — anche se l’origine è ancora più antica: ci sono resti di mosaici e pavimenti paleocristiani. “Questa è la chiesa di Santa Maria la rossa nuova. Dentro c’è una cosa unica a Milano e forse anche in tutta italia, una mostra permanente di Dan Flavin,” ci spiega Carapellese.
Il quartiere termina intorno a piazza Abbiategrasso, dove qualche anno fa è arrivata la metro 2. La piazza è un punto nodale per il traffico di Milano Sud, sia per il trasporto pubblico che quello privato. In corrispondenza di un vecchio distributore abbandonato dovrebbe sorgere un parcheggio della metropolitana: chi arriva qui in macchina da Gratosoglio o Rozzano, percorrendo via dei Missaglia che termina proprio qui, potrà parcheggiare e proseguire verso il centro con la metro, evitando di congestionare la città.
Proprio sulla piazza si affaccia anche uno degli edifici più problematici della zona: l’ex scuola Silvio Pellico, abbandonata da una ventina d’anni. Oggi è un buco nero di abbandono, che offre rifugio a piccola delinquenza e a disperati, abbandonati dalle istituzioni. “Ma presto verrà abbattuta,” sostiene Carapellese. Oltre, la piazza si estende ancora qualche casa o casermone, un po’ più radi. E poi, l’aperta campagna.
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