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testi: Alessandro Massone, Stefano Colombo

Il prossimo Parlamento europeo sarà pesantemente sbilanciato tra destra ed estrema destra: i conservatori del PPE sono arrivati saldamente primi, e secondo i dati provvisori, controlleranno da soli 184 seggi — più di un quarto di tutto il parlamento. Segue con un marcato distacco S&D, con 139 seggi, e poi ancora, Renew, con 80 seggi, ECR — il gruppo di Meloni — con 73 seggi, ID — quello di Salvini e Le Pen — con 58 seggi, i Verdi con 52, e la Sinistra con 36. Con questi numeri, la maggioranza di von der Leyen sarebbe a 403 seggi, su una maggioranza di 361 — nel 2019 ne aveva ottenuti 383. Questo aumento potrebbe allargarsi ulteriormente: è possibile che questa volta si uniscano alla coalizione per sostenerla anche i Verdi — molto indeboliti da questo voto, e che comunque negli anni scorsi hanno lavorato bene con la Commissione uscente. In quel caso, la maggioranza di von der Leyen salirebbe nominalmente a 455 seggi — un numero così alto da doverla mettere in sicurezza dalle possibili defezioni.

Gli sconfitti di queste elezioni sono i liberali di Renew Europe — schiacciati dalla crisi di Macron e dall’implosione di diverse liste nazionali, Ciudadanos in Spagna, e Stati Uniti d’Europa e Azione in Italia — e dei Verdi, il cui gruppo dipendeva da una buona performance in Francia e in Germania, dove le liste ecologiste non sono andate bene. La vincitrice delle elezioni invece è piuttosto chiaramente Ursula von der Leyen: il PPE ovviamente non ha i numeri per governare da solo, per cui alla presidente uscente servirà comunque un accordo, ma tutti i suoi oppositori all’interno della precedente coalizione che l’aveva eletta sono coinvolti in gravi crisi nazionali, e von der Leyen può trattare con socialisti e liberali armata della pericolosa minaccia del supporto dell’estrema destra di ECR — sostenuta in larga parte dal risultato di FdI in Italia. Nicolas Schmit, il candidato alla presidenza della Commissione dei socialisti, ha già dichiarato che il gruppo è “pronto a negoziare”: “Sento molto chiaramente i messaggi che arrivano da Ursula von der Leyen. Sono cosciente e fiducioso che ci sia disponibilità a lavorare insieme e a trovare i giusti compromessi, ma anche le giuste soluzioni.” Risultati elettorali alla mano, von der Leyen non ha commentato sulla possibilità di coinvolgere ECR, ma la minaccia resta: l’europarlamentare ECR belga Assita Kanko si è sbilanciata a dire che la presidente è “una grande donna,” e che il partito è disposto a sostenerla “se ha un buon programma.”

I due oppositori di von der Leyen in crisi sono, ovviamente, Emmanuel Macron e Olaf Scholz. In Francia, Macron ha annunciato nuove elezioni legislative: il presidente francese ha sciolto il parlamento immediatamente dopo la pubblicazione dei primi exit poll, che confermavano che RN di Marine Le Pen aveva preso più del doppio dei voti del partito di Macron. Si voterà il 30 giugno e il 7 luglio, per cui sarà una campagna elettorale fulminea, che si centrerà probabilmente tutta sul tentativo di spaventare un numero sufficiente di elettori francesi per ritrovare una maggioranza parlamentare. Questa mattina Macron ha scritto su X che “ha fiducia nella capacità del popolo francese di fare la scelta più giusta per se stesso e per le generazioni future.” Per il cancelliere tedesco Scholz, le elezioni sono state una “umiliazione,” scrive POLITICO: non solo la CDU è risultata saldamente il primo partito politico tedesco, con il 30,2% delle preferenze, ma i socialdemocratici tedeschi non sono riusciti ad arrivare secondi contro i neonazisti di AfD — che hanno preso il 16% nonostante i molti scandali che hanno coinvolto la sigla nelle scorse settimane. Il partito di Scholz si è fermato al 14%.

in Italia come sono andate di preciso le cose? Per quanto nessun risultato sia stato eclatante e non ci siano ancora gli esiti definitivi, ci sono già vari dati chiari notevoli. Tanto per cominciare, per la prima volta in un’elezione legislativa, ha votato meno del 50% degli aventi diritto, con un’affluenza alle urne del 49,7%. L’astensione è stata clamorosamente più alta nel sud e nelle isole rispetto alle altre circoscrizioni, in particolare rispetto al nord del paese, con differenze anche del 10%, e ha penalizzato il M5S, che è andato malissimo, fermandosi poco sotto il 10%. Così male che ora sembra essere a rischio la leadership di Conte e anche la permanenza del partito nel cosiddetto campo largo, visto che a livello politico non si è riuscito a ritagliare uno spazio né alla sinistra né alla destra del Pd. Il primo partito si conferma FdI, che col 28,8% si conferma la forza guida della coalizione di destra, con Meloni che ha commentato soddisfatta i risultati simili alle elezioni politiche. Sempre a destra tra i parziali sconfitti c’è la Lega, che nonostante la candidatura di Vannacci — che ha preso comunque mezzo milione di preferenze — è finita dietro Forza Italia, con il 9,14% contro il 9,72%. I tre partiti di governo hanno comunque aumentato lievemente i propri consensi rispetto alle percentuali del 2022.

Il Pd invece è arrivato al 24,4% dei voti, più delle previsioni e oltre 4 punti in più rispetto alle scorse politiche: un risultato che consolida la posizione del partito come fulcro dell’opposizione e della segretaria Schlein. A sinistra il risultato più rilevante però è il 6,6% di Avs, trascinati dai vari candidati di grande impatto rivelati nelle ultime settimane, a partire da Ilaria Salis: la monzese, detenuta agli arresti domiciliari a Budapest, ora è europarlamentare. Ora potrebbe aprirsi un contenzioso istituzionale tra il parlamento europeo e la giustizia ungherese, visto che il giudice potrebbe chiedere di revocarne l’immunità sostenendo che sia stata arrestata in flagranza di reato. Pace-terra-dignità di Santoro si ferma intorno al 2,5% e non entra all’europarlamento: una sorte condivisa anche dalle due formazioni di centro di Renzi e Calenda, Sue e Azione, che si fermano poco oltre il 4% — un risultato, anche questo, piuttosto clamoroso vista la completa artificiosità personalistica della divisione tra i due partiti. È il caso di far notare anche una divisione interessante dei voti su base anagrafica: tra gli elettori tra i 18 e i 29 anni i primi tre partiti sono stati Pd, M5S e Avs, rispettivamente con il 18, il 17 e il 16%.


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