European Council

Il nuovo Patto di stabilità è stato votato all’unanimità — tranne che per l’astensione del Belgio — da tutti e 27 i paesi membri dell’Ue. Come previsto, si ripercuoterà pesantemente sullo stato sociale italiano — e dunque sui meno ricchi del paese. L’ossessione della “pulizia di bilancio” imporrà infatti tagli e limiti alla spesa pubblica per far sì che il rapporto tra debito e pil venga portato sotto il 3%. L’Ue sembra non aver imparato granché dalle scorse crisi economiche e ha incredibilmente deciso di adottare un piano economico che mette già di per sé in posizione di infrazione quasi la metà dei propri paesi membri, verso i quali, come riporta il Fatto Quotidiano, verrà aperta una procedura di infrazione per deficit eccessivo. È difficile orientarsi nella foresta di meccanismi burocratici e nelle trappole finanziarie previste dal Patto; in ogni caso per gli stessi provvedimenti varati nella scorsa legge di bilancio all’Italia servirà trovare, entro il prossimo inverno, 20 miliardi in più, da ottenere o con aumenti di tasse o tagli alla spesa pubblica. Poteva andare peggio? Sempre secondo il Fatto, “In cambio di un po’ meno rigore nel breve periodo, l’Italia ha accettato insomma una disciplina più severa nel lungo termine.” A partire dal 2025 i paesi fuori dagli schemi dovranno seguire percorsi di aggiustamento di bilancio personalizzati che dureranno da quattro a sette anni, in cui ogni paese deciderà come fare a pezzi il proprio stato sociale nel modo più indolore possibile. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio l’aggiustamento reale potrebbe essere tra gli 11 e i 13 miliardi di euro di riduzione di spesa, se la crescita del Pil rispetterà le previsioni.

L’analisi del Fatto si conclude con “auguri a chi dovrà far quadrare i conti senza falciare sanità e welfare.” Già ora, del resto, lo stato sociale italiano non se la passa benissimo: la fondazione Gimbe ha fatto notare per l’ennesima volta che gli investimenti nel sistema sanitario pubblico non sono sufficienti. L’aumento della spesa di 7,6 miliardi nel 2024 sbandierato dal governo, che seguiva una riduzione di 3,6 miliardi nel ‘23 rispetto al ‘22, “è solo illusorio, poiché è in gran parte legato al fatto che non è stato perfezionato il rinnovo dei contratti dei dirigenti e dei contrattisti per il triennio 2019-2021, i cui costi non sono stati registrati nel 2023 e sono stati rinviati a quest’anno.”

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In tutto questo ieri, a Torino, ha preso il via il G7, dove per molti versi si è parlato delle stesse cose di cui si parla in Europa e dove sono state dette anche cose contraddittorie rispetto al nuovo patto draconiano. Ci sarebbe ad esempio un accordo tra i 7 per uscire definitivamente dall’utilizzo dell’energia ottenuta dal carbone entro il 2035 — non un grosso sforzo. Qualsiasi progetto di conversione ecologica di ampio respiro verso energie rinnovabili è poi impensabile senza grandi investimenti pubblici e, infatti, non se ne parla praticamente più da mesi dopo le timide aperture post-FFF. Ieri a Torino si sono registrate diverse proteste e scontri con i manifestanti convenuti sul posto contro “i sussidi ai fossili.” In serata una manifestazione guidata dai centri sociali cittadini nel centro della città è stata respinta con gli idranti dalle forze di polizia, che ha identificato una cinquantina di persone nel corso della giornata.


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