The Remains of Sderot City Police

Israele ha continuato a bombardare la Striscia di Gaza per tutta la notte, colpendo anche obiettivi civili. Mentre scriviamo a Gaza si contano 704 morti e 3.900 feriti, ma il numero è destinato a salire. Tra le persone uccise nei bombardamenti ci sono anche due giornalisti, mentre un terzo è rimasto ferito. Le autorità israeliane parlano di 900 morti e 2.400 feriti, mentre ci sarebbero tra 100 e 150 persone catturate da Hamas.

A quanto pare l’esercito israeliano è tornato in controllo della barriera che separa Gaza da Israele, mentre da alcune ore non si registrano più combattimenti oltre il confine. È anche il momento di un’analisi più fredda di quanto è successo: le autorità israeliane e gli osservatori internazionali continuano a chiedersi come sia stata possibile la spedizione dei combattenti palestinesi, in teoria reclusi da un confine inespugnabile. Nel corso di mesi e anni Hamas e le altre sigle hanno studiato le debolezze dell’approccio israeliano, troppo fiducioso sulla sorveglianza tecnologica e concentrato su osservare esclusivamente l’interno di Gaza. Una volta compiuto l’impensabile sfondando il valico di Erez con un attacco rapido e massiccio, Israele non aveva semplicemente un piano B da applicare — e nemmeno un piano A. Sembra che gli stessi combattenti palestinesi siano rimasti sorpresi dalla facilità con cui sono riusciti a penetrare in profondità nel territorio nemico una volta fuori da Gaza. Alcune sfere dell’esercito israeliano intanto denunciano che le continue interferenze del governo con le questioni e le scelte militari siano state potenzialmente deleterie — il governo di estrema destra guidato da Netanyahu ha spostato un numero sproporzionato di truppe nella West Bank per coprire le spalle alle azioni dei coloni nella zona, lasciando sguarnita l’area intorno a Gaza.

Per il governo israeliano sarà difficile impostare una reazione composta e vagamente razionale. Prima dell’ultima ondata di bombardamenti, il ministero della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato l’“assedio totale” di Gaza: con l’interruzione della circolazione di “elettricità, cibo, acqua e gas.” Gallant ha giustificato la misura dicendo che Israele sta combattendo contro “animali umani,” e per cui era necessario “comportarsi di conseguenza.” L’operazione ricade nelle pene collettive, un crimine di guerra secondo la Quarta Convenzione di Ginevra di cui Israele è stato più volte accusato negli scorsi anni anche dalle Nazioni Unite — ieri il direttore di Human Rights Watch per Israele e Palestina, Omar Shakir, ha definito le parole di Gallant “aberranti.” Sulla questione si è espresso il presidente turco Erdoğan, ricordando al presidente israeliano Herzog che le pene collettive servono solo a “aumentare le sofferenze” e ad “alimentare la spirale di violenza.”

L’esplosione del conflitto ha lasciato a dir poco confuse le autorità europee, che negli scorsi anni avevano cautamente iniziato a criticare la repressione israeliana del popolo palestinese. Il commissario Olivér Várhelyi ha annunciato che tutti i pagamenti comunitari destinati al popolo palestinese erano stati “immediatamente sospesi.” La sua dichiarazione è stata contraddetta dal collega alla gestione delle crisi, Janez Lenarčič, che invece ha specificato che l’assistenza umanitaria ai palestinesi sarebbe continuata “finché necessario.” L’Ue infatti svolge già dei controlli per evitare che i fondi finanzino le attività di Hamas — dunque, a meno di ammettere che questi controlli siano inefficaci o che l’eventuale sospensione sia causata da semplice razzismo, non c’è motivo di interromperne l’erogazione. Alla fine di una giornata caotica, Josep Borrell ha cercato di mettere fine alla controversia, dicendo che l’Unione europea non avrebbe sospeso “nessun pagamento dovuto.” Il ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn ha condannato le affermazioni avventate di Várhelyi, ricordando che decisioni di questo tipo richiedono la consultazione degli stati membri — i ministeri degli Esteri converranno solo giovedì in materia. Gli Stati Uniti, del canto loro, hanno iniziato a consegnare munizioni a Israele, mentre il Pentagono esamina il proprio inventario per valutare quali altri aiuti militari possono essere inviati rapidamente a Tel Aviv.

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