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Sabato 8 ottobre migliaia di persone in tutto il mondo hanno partecipato a diverse manifestazioni in supporto del fondatore di WikiLeaks. Siamo stati al presidio organizzato dai sindacati dei giornalisti francesi a Parigi

La statua della libertà si staglia maestosa contro un cielo limpido, nel suo tipico verde acqua di bronzo ossidato. A dispetto di ogni apparenza, non siamo a New York, ma a Parigi. Ai piedi della copia molto più modesta della celebre statua newyorkese, sabato 8 ottobre decine di persone si sono radunate per protestare contro l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. “Il giornalismo non è un crimine”, e “Liberate Assange, incarcerate i criminali di guerra” recitano alcuni tra i cartelloni. 

Julian Assange è un cittadino australiano, fondatore nel 2006 di WikiLeaks, una piattaforma che permette di pubblicare in forma anonima documenti riservati che mettano in luce comportamenti eticamente scorretti di governi o aziende. Nel 2010, Wikileaks ha pubblicato documenti dell’intelligence militare statunitense che rivelavano crimini di guerra perpetrati dalle truppe americane in Afghanistan e in Iraq, mai venuti alla luce. Da quel momento, Assange è ricercato negli Stati Uniti con l’accusa di aver cospirato nella divulgazione di informazioni pericolose per la sicurezza nazionale americana. Dopo 7 anni passati da rifugiato politico nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, Assange è detenuto da più di tre anni nel Regno Unito. Lo scorso 17 giugno, il governo britannico ha autorizzato l’estradizione del fondatore di WikiLeaks negli Stati Uniti — decisione contro cui gli avvocati di Assange hanno presentato un ricorso. 

“Se l’estradizione avrà luogo, Assange rischia 175 anni di carcere solo per aver pubblicato delle informazioni vere sulle azioni dell’esercito americano nel mondo,” spiega Emmanuel Vire, segretario generale del sindacato nazionale francese dei giornalisti, CGT. Come giornalista, Emmanuel si è da subito schierato a difesa di Assange. “La vicenda di Assange è sconvolgente,” dichiara, “ è la rimessa in questione del diritto dei giornalisti di informare, e dei cittadini di essere informati. È una retromarcia sulla libertà di stampa, la criminalizzazione del giornalismo investigativo.” Emmanuel si mostra inoltre preoccupato che l’estradizione abbia l’effetto di intimidire giornalisti e informatori portandoli all’autocensura per paura di ripercussioni legali, e quindi precludendo la possibilità che nuove informazioni classificate vengano esposte al pubblico. 

Anche la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), che ha sostenuto ufficialmente la mobilitazione globale dell’8 ottobre, ha espresso grave preoccupazione per l’impatto dell’eventuale estradizione di Assange sulla libertà di stampa e sui diritti di tutti i giornalisti a livello globale. Secondo Amnesty International, la decisione di Londra “pone Assange in grande pericolo e invia un messaggio agghiacciante ai giornalisti di ogni parte del mondo.”

Oltre a Parigi, si sono tenute manifestazioni in diverse altre capitali del mondo: a Londra migliaia di persone hanno formato una catena umana attorno al Parlamento britannico; negli Stati Uniti, a Washington si è tenuta una manifestazione fuori dal dipartimento di Giustizia, per chiedere al procuratore generale Merrick Garland di lasciar cadere le accuse contro Assange; in Australia si è organizzata una protesta fuori dalla British High Commission di Canberra, e una manifestazione molto numerosa a Melbourne.

“Assange è un simbolo di coraggio, del coraggio di denunciare quello che non va” dice Arnaud, partecipante alla manifestazione parigina, “e un simbolo del giornalismo che non scende a compromessi con il potere.” Secondo lui, Assange ha ispirato molti altri giornalisti, e soprattutto molti informatori, che l’hanno preso come esempio e hanno denunciato ingiustizie e menzogne di governi e aziende. Jeraldine, con indosso una maglietta nera su cui spicca in rosso la scritta Libérez Julian Assange, pensa che “i giornalisti non svolgono più il loro lavoro, e sono gli informatori ormai che mostrano come vanno davvero le cose,” e aggiunge che le informazioni che sono state rese pubbliche grazie ad Assange e WikiLeaks hanno cambiato il modo in cui i cittadini vedono i propri governi. Jeraldine parla ad esempio di un video pubblicato su WikiLeaks, Collateral Murder,” che testimonia l’uccisione indiscriminata di oltre una dozzina di civili iracheni disarmati e due giornalisti della Reuters da parte di un elicottero militare americano in ricognizione. Il video, diventato tra le più famose pubblicazioni di WikiLeaks, ha scosso l’opinione pubblica per la violenza ingiustificata contro civili disarmati, ed è da molti considerato un simbolo delle menzogne del governo statunitense, che ha sempre negato di attaccare deliberatamente dei civili, nell’ambito della guerra in Iraq.

“Collateral Murder” non è la sola pubblicazione di WikiLeaks che ha provocato molto scalpore e che ha svelato la realtà delle guerre statunitensi. Grazie alle informazioni fatte trapelare da Chelsea Manning, ex militare dell’esercito americano, siamo oggi a conoscenza del fatto che il governo statunitense ha mentito sul numero di vittime in Iraq e in Afghanistan, fornendo numeri di gran lunga inferiori a quelli reali. I registri secretati sulla guerra in Iraq riportano più di 109 mila morti violente tra il 2004 e il 2009, tra cui oltre 66 mila civili e quasi 24 mila persone identificate come “nemiche” che le forze speciali statunitensi hanno assassinato senza processo in missioni segrete. Prima della fuga di notizie di Manning, il governo statunitense aveva dichiarato di non aver registrato vittime civili nelle operazioni di guerra. Inoltre, i documenti pubblicati su WikiLeaks hanno rivelato che gli Stati Uniti erano a conoscenza di torture ed esecuzioni di detenuti iracheni da parte delle autorità irachene loro alleate, e non sono intervenuti per opporsi.

Queste informazioni sono ormai di dominio pubblico grazie al lavoro di Assange. Il suo incarceramento e la sua possibile estradizione non solo rappresentano una minaccia per la libertà di stampa, ma soprattutto mostrano il “doppio standard” dei governi occidentali rispetto a questo diritto fondamentale, predicato a livello internazionale ma non sempre assicurata all’interno dei propri confini. dentro e fuori i propri confini.. 

Tuttavia, i manifestanti a Parigi non accusano solo i governi occidentali per il caso Assange, ma attaccano anche la stampa stessa. “All’inizio, quando Assange ha fondato Wikileaks e pubblicato i primi documenti secretati, tutta la stampa francese e internazionale era schierata al suo fianco e ha largamente beneficiato dalle informazioni fornite da WikiLeaks,” si indigna Emmanuel, “mentre da quando gli Stati Uniti hanno aperto un’indagine contro di lui, la stampa internazionale e i grandi media lo hanno abbandonato.” Anche Jeraldine è indignata dal silenzio mediatico dei grandi media sulla imminente estradizione di Assange, e spiega di riuscire a tenersi informata sugli sviluppi della situazione di Assange grazie a testate indipendenti e alternative, mentre “da parte dei grandi media è il silenzio assoluto.”

Lo scorso agosto gli avvocati di Assange hanno presentato un appello contro la sua estradizione negli Stati Uniti, con il supporto di Michelle Bachelet, allora Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Bachelet è stata succeduta da Volker Türk, che assumerà funzione il 17 ottobre, e al momento non ha preso posizione in merito alla persecuzione di Assange — che, ovviamente, potrebbe finire in qualsiasi momento. La decisione finale resta nelle mani di Joe Biden.

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