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in copertina, foto via Facebook / Giuseppe Conte

Il governo è in uno stallo alla messicana: il Movimento 5 Stelle ha deciso che non voterà la fiducia, mentre le altre forze politiche — compreso Mario Draghi — sono tentate di soffiare sul fuoco per andare alle elezioni

Al termine di una giornata convulsa, Giuseppe Conte ha annunciato che i senatori del M5S usciranno dall’aula al momento del voto di fiducia sul Decreto Aiuti. “I cittadini non capirebbero una decisione diversa,” ha spiegato all’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari — qui il video del suo intervento — appellandosi alla coerenza e ribadendo la necessità di un “cambio di passo” da parte del governo. Le aperture di Draghi dopo l’incontro con i sindacati non sono state reputate abbastanza: “La fase che stiamo affrontando non può accontentarsi di dichiarazioni di intenti e di impegni, occorrono misure concrete.” ha detto Conte, aggiungendo che “noi siamo disponibili a dialogare e dare il nostro contributo, ma non siamo disponibili a firmare cambiali in bianco.”

Da nessuna parte è scritto che debba aprirsi per forza una crisi di governo: al Senato la fiducia passerà lo stesso anche senza la partecipazione dei senatori pentastellati — che comunque non voteranno “no,” ma appunto usciranno dall’aula. In più, Conte non ha annunciato l’uscita dalla maggioranza e il ritiro dei propri ministri. Tuttavia, nei giorni scorsi Draghi ha detto più volte che senza il Movimento 5 Stelle il governo non può andare avanti, e dopo il voto di sfiducia “mascherato” di oggi potrebbe salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Ieri si sono aggiunte anche le altre forze politiche della maggioranza: se per Berlusconi Draghi dovrebbe andare avanti anche senza Conte, Salvini ha invocato direttamente il voto anticipato. Anche Letta, alleato imbarazzato dell’ex premier, ha detto che “se una forza politica importante come il M5S esce dal governo […] si va al voto, è la logica delle cose.”

L’ultima parola spetta però a Mattarella, che verosimilmente, in caso di dimissioni, inviterebbe Draghi a verificare la maggioranza in Parlamento. A questo punto, il premier potrebbe rassegnarsi a governare con una maggioranza diversa — sempre che il M5S davvero non voti la fiducia — magari con un rimpasto dell’esecutivo; in caso contrario, iniziano a circolare le ipotesi di voto anticipato a settembre o ottobre. Secondo i retroscena, fino all’ultimo momento Conte ha cercato di evitare lo strappo, con una telefonata in extremis a Draghi prima della riunione serale con i gruppi parlamentari, ma non sarebbe riuscito a convincere la maggioranza dei propri senatori. Non tutti, però, sono d’accordo con la decisione: Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ha detto che in questo modo “si rischia di regalare il paese al centrodestra,” e ci sono molti parlamentari “governisti” che in caso di crisi potrebbero uscire dal M5S e passare con Di Maio.

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