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in copertina, foto satellitare del mercato ittico di Wuhan sovrapposta alla visualizzazione dei primi casi di polmonite. Michael Worobey et al. The Huanan market was the epicenter of SARS-CoV-2 emergence. DOI

Il mercato ittico di Wuhan è stato l’epicentro della pandemia, e il virus non proviene da un laboratorio, ma è di origine naturale: lo confermano tre nuovi studi, che sono arrivati indipendentemente alle stesse conclusioni

Tre nuovi studi, pubblicati alla fine della settimana scorsa, riconducono in modo pressoché definitivo l’origine del virus del Covid–19 al mercato ittico all’ingrosso di Wuhan. E soprattutto, non lasciano piú spazio alle teorie del complotto sulla fuga o addirittura sulla costruzione del virus in un laboratorio cinese.

Tutti e tre gli studi, ancora in pre-print, sono molto approfonditi, e segnano un vero punto di arrivo: non sono ancora stati pubblicati da nessuna rivista, ma hanno già ricevuto ampio sostegno da altri scienziati e ricercatori. Negli scorsi mesi il dibattito era proseguito ma era anche deragliato dalla semplice ricerca — sempre piú istituzioni avevano abbracciato la teoria del complotto secondo cui il virus sarebbe sfuggito dal laboratorio dell’Istituto di virologia di Wuhan. 

Le origini naturali del virus

Il primo studio, “L’emergere del SARS-CoV-2 è risultato molto probabilmente da almeno due eventi zoonotici,” analizza le origini e la diversità genomica del virus prima dell’inizio della pandemia. Lo studio si concentra sui due lignaggi virali presenti a Wuhan in quelle settimane, indicati come lignaggio A e B — noti da tempo. Il SARS-CoV-2 si evolve attraverso continue mutazioni genetiche,che avvengono mentre il virus si replica nelle cellule. Gruppi di virus con mutazioni simili sono legati in un lignaggio. Nelle prime settimane di quella che sarebbe diventata la pandemia, a Wuhan erano presenti due lignaggi di virus, A e B. Ad esempio, oggi chiamiamo Delta i virus di lignaggio B.1.617.2 e Omicron i virus di lignaggio B.1.1.529, che a loro volta si suddividono in almeno tre sublignaggi.  Secondo gli autori dello studio, la prima trasmissione zoonotica ha coinvolto un virus di lignaggio B, e si è verificata tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 2019. Poche settimane dopo è accaduta la stessa cosa con un virus di lignaggio A. Questa strettissima finestra tra il “salto” di specie negli esseri umani e la segnalazione dei primi casi di Covid–19 ricalca da vicino quello che è successo con SARS-CoV-1 — il virus della SARS — con il passaggio verso l’uomo attraverso multipli eventi zoonotici.

Il mercato ittico è l’epicentro della pandemia

Il secondo studio si occupa invece di ricostruire come il contagio potrebbe avere avuto luogo nel mercato ittico. Il titolo è ambizioso: “Il mercato di Huanan è stato l’epicentro dell’emergere del SARS-CoV-2,” scrivono gli autori — da notare l’uso del verbo all’indicativo. Lo studio è il risultato di un minuzioso lavoro di micro–raggruppamento geografico dei primi casi noti di Covid–19 e riesce a collegare — fino ai singoli banchi — i primi casi con venditori di animali vivi. Lo studio tuttavia si ferma senza indicare specificamente da quale specie il virus potrebbe aver fatto il “salto” verso l’uomo.

Michael Worobey et al. The Huanan market was the epicenter of SARS-CoV-2 emergence

Gli autori dello studio hanno combinato i dati sul Covid–19 da Weibo con le informazioni sulla densità della popolazione raccolte da Worldpop.org e sono riusciti a dimostrare un maggior tasso di densità di casi attorno al mercato ittico nelle prime settimane dell’epidemia in città. La ricerca mostra non solo che i casi di Covid–19 di dicembre a Wuhan sono più densi nei pressi del mercato, ma che hanno il mercato come vero e proprio centro di diffusione. Il centroide della forma disegnata da tutti i casi di dicembre mostra una precisione sorprendente, indicando un punto a soli 780 metri dal mercato stesso. I ricercatori hanno svolto questo lavoro statistico sia sul contagio da lignaggio A che da lignaggio B, e in entrambi i casi il mercato è associato geograficamente alla prima diffusione del virus — questo, da solo, dimostrerebbe che il lignaggio A non ha avuto un’origine precedente al lignaggio B.

Sette casi — evidenziati in giallo — mostrano come centroide il mercato ittico. I casi blu, successivi a quelli gialli, mostrano come altri casi, generati da ulteriore contagio, possono essere nei pressi del mercato senza averlo come punto centrale di contagio, dimostrando il ragionamento degli autori. Michael Worobey et al.
The Huanan market was the epicenter of SARS-CoV-2 emergence

Nel mercato ittico erano presenti entrambi i lignaggi iniziali di SARS-CoV-2

Il terzo studio è a sua volta in pre-print — ma sotto considerazione per essere pubblicato su Nature Portfolio — e approfondisce ulteriormente la questione dei due lignaggi, fondamentale per comprendere la dinamica dell’esordio della pandemia. Si intitola “Sorveglianze del SARS-CoV-2 nell’ambiente e nei campioni animali del mercato del pesce di Huanan” e riporta i risultati dei ricercatori cinesi che hanno studiato i campioni di animali presenti nei pressi del mercato. Un’indicazione definitiva riguardo alla specie  da cui è avvenuto il “salto” potrebbe essere impossibile: anche questi campioni sono stati raccolti dopo il lavoro di disinfezione svolto nei momenti di febbrile emergenza dalla polizia di Wuhan. Lo studio, svolto nel corso di due anni, ribalta quanto sappiamo del virus in proposito: finora, infatti, attorno al mercato erano stati trovati solo casi appartenenti al lignaggio B, che si ipotizzava fosse uno sviluppo successivo al lignaggio A. Questo scenario lasciava aperta la porta a una possibile circolazione precedente del lignaggio A in città — un’ipotesi finora difficile da smentire e molto gradita ai sostenitori della teoria del complotto. Lo studio, al contrario, conferma che nel mercato fossero presenti anche casi del lignaggio A. Questo coincide con le conclusioni del primo studio — nonostante i gruppi di ricercatori fossero all’oscuro dei rispettivi lavori — confermando due istanze di spillover separate al mercato ittico.

Si può ricostruire l’origine della pandemia fino al singolo banco

È in questo punto che il lavoro dei ricercatori del terzo studio si interseca con il secondo studio, elencando i mammiferi suscettibili al SARS-CoV-2 che erano in vendita nel mercato ittico tra novembre e dicembre del 2019. Nessun caso di animale in vendita è stato collegato al contagio, perché per ragioni di sicurezza il mercato è stato sottoposto a disinfezione non appena le autorità cinesi hanno appurato la gravità della situazione. Tuttavia, confrontando fotografie che mostrano gabbie di mammiferi vivi  con la mappa dei casi localizzati all’interno del mercato, si nota una densità di casi molto più alta proprio in un punto di cui abbiamo prove ci fossero mammiferi in vendita. Non si tratta, ovviamente, di un collegamento diretto, ma l’analisi dimostra come il rischio di contrarre il Covid–19 fosse fortemente associato con l’angolo sud-ovest del mercato, dove erano in vendita mammiferi vivi — che si può immaginare fossero malati. I ridotti casi presenti nel resto della struttura si possono spiegare facilmente con il contagio tra esseri umani.

Michael Worobey et al. The Huanan market was the epicenter of SARS-CoV-2 emergence

Gli autori continuano sottolineando come, nella stessa finestra di tempo, non sia possibile identificare nessun’altra località in città dove il contagio si comporta allo stesso modo. Ad esempio: nei pressi del mercato c’è la stazione di Hankou, che potrebbe essere un’altra candidata credibile per l’arrivo del virus, ma in quelle settimane non risulta alcun cluster come questo.

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L’origine in laboratorio era una teoria già ampiamente screditata

Il fatto che autori di studi così diversi siano arrivati a risultati così simili — senza collaborare e senza nemmeno sapere di stare lavorando a ricerche compatibili — offre ulteriore solidità ai loro ritrovamenti. In un addendum al secondo paper gli autori citano il lavoro dei ricercatori del terzo, sottolineando che entrambi i lavori sono arrivati a conclusioni definitive che indicano che anche il lignaggio A si è diffuso nel mercato ittico.

Se non ci fosse stato un forte interesse politico nel diffondere la teoria del complotto del laboratorio, in realtà, sarebbero emerse da tempo prove sufficienti per considerare lo scenario come il meno probabile di tutti. All’Istituto di Virologia di Wuhan si studiavano CoV nei pipistrelli, ma tutti i virus presenti nel laboratorio avevano spike molto diversi dal SARS-CoV-2, rendendo il passaggio diretto dai pipistrelli agli umani altamente improbabile. Inoltre, numerosissimi studi sono arrivati alla conclusione che il SARS-CoV-2 sia il risultato del proprio adattamento al sistema immunitario, e che dunque non può venire da un laboratorio. (Vi linkiamo 1, 2, 3, 4 pubblicazioni, tutte separate, ormai edite da tempo e mai screditate, che arrivano alla stessa conclusione.)

C’è ancora molto da indagare: i ricercatori vorranno provare a ricostruire la provenienza degli animali infetti presenti nel mercato, per  determinare se la popolazione della zona di origine presenta anticorpi compatibili con una diffusione di virus simili al SARS-CoV-2. Inoltre, tutti questi studi sono limitati al ristretto numero di casi di Covid–19 e di polmonite identificati nelle prime caotiche settimane di pandemia. In Cina vengono conservati campioni di sangue per verificare la sicurezza di ogni trasfusione, che devono essere preservati per due anni dall’operazione. Lo scorso autunno si è chiuso il periodo di due anni per i campioni di sangue conservati che riguardano i mesi immediatamente precedenti all’esplosione del contagio. Questa incredibile riserva — si tratta di 200 mila campioni — ci permetterà nei prossimi mesi di fare ulteriore luce sulla diffusione del virus prima che scattasse l’allarme.

Scientificamente il caso è quindi ancora più chiuso di prima. Non è detto però che anche questi ritrovati siano sufficienti a mettere fine alla teoria del complotto a livello politico: adombrare la possibilità di una colpevolezza della Cina nella pandemia è diventato un importante strumento di propaganda e un’idea ormai radicata ovunque. Di seguito ricostruiamo brevemente le origini della teoria del complotto, per ricordarci come si sia progressivamente normalizzata, da boutade su giornali conservatori a “verità scomoda” sussurrata dai più.

Da dove viene la teoria dell’incidente di laboratorio

La teoria dell’incidente di laboratorio è propugnata in modo decisivo a gennaio 2020 dall’ex agente del servizio segreto israeliano Dany Shoham sul quotidiano conservatore Washington Times, secondo cui il virus sarebbe legato ai programmi di guerra batteriologica del governo cinese — una “notizia” ripresa immediatamente dai quotidiani di tutto il mondo. Il passaggio da arma batteriologica a incidente risale invece al mese successivo, quando il senatore repubblicano Tom Cotton prova a correggere il tiro in una serie di tweet, dopo essersi messo pubblicamente in imbarazzo sostenendo l’ipotesi originale, ovviamente senza alcuna prova. Nei giorni successivi sul Lancet e su Nature Medicine vengono pubblicate dichiarazioni che archiviano la teoria, argomentate in modo specifico, e la questione sembra chiusa definitivamente, almeno fuori dai circoli complottisti più coriacei.

A marzo però un retroscena di CNN e Fox News rivela che dei funzionari dell’amministrazione Trump starebbero “investigando” sulla teoria, a cui viene data solidità dall’allora durante una conferenza stampa alla Casa bianca. È fatta: grazie all’endorsement di Trump presidente, per i repubblicani l’incidente di laboratorio diventa una verità incontestabile, e anche Cotton torna sui suoi passi dicendo che “anche se il governo cinese dice il contrario, le sue azioni raccontano un’altra storia.”

A maggio, secondo Mike Pompeo le prove per la fuga di materiali sono diventate “enormi.”. A questo punto inizia un lento lavoro di erosione della realtà: la tesi che prima era ridicolizzata inizia a diventare un divertissement sui magazine progressisti, apertamente abbracciata anche dal New York Times, che arriva a pubblicare dichiarazioni così incendiarie da essere redarguito su Twitter da Peter Daszak, tra i membri della squadra che l’OMS ha inviato a Wuhan.

Il passaggio della teoria del complotto sul New York Times è un vero attraversamento del Rubicone. Nel maggio del 2021 viene ripresa in un “retroscena esclusivo” del Wall Street Journalche non viene mai ritirato nonostante si basasse su un report già allora screditato e su una teoria mai sostanziata firmata da una giornalista che stava promuovendo il proprio “libro–verità” di teorie del complotto sulla pandemia. Solo pochi giorni dopo Biden — il cui entourage aveva deriso le teorie trumpiane — ordina personalmente all’intelligence di investigare sulle origini del virus, “compreso se sia emerso dal contatto tra un umano e un animale infetto, o da un incidente di laboratorio,” si legge in una dichiarazione presidenziale di allora. A rendere ancora più ridicola la situazione, Biden chiede una risposta in 90 giorni — per la prima SARS ci sono voluti 14 anni per arrivare a una risposta scientificamente definitiva sulle origini naturali del virus. 

Si possono comprendere dunque i funzionari dell’intelligence che, di fronte a questa richiesta, hanno sostanzialmente risposto con una pernacchia — un documento riassuntivo di neanche due pagine in cui si ammetteva di non essere arrivati ad alcuna conclusione  ma che chiudeva con un breve anatema contro la Cina, che secondo gli autori non stava collaborando a sufficienza con la comunità internazionale nella ricerca sulle origini del virus. In realtà, la comunità scientifica cinese ha contribuito in modo sostanziale alla ricerca, e tutti e tre gli studi di cui scriviamo oggi sono stati resi possibili dalle informazioni condivise dalle autorità cinesi negli scorsi mesi. 

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