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in copertina, foto di Emanuela Colaci

Il gruppo LGBTQ+ e cattolico “I Giovani del Guado” racconta i timidi passi avanti della comunità cattolica italiana nell’accettazione di una piena sessualità. Un dialogo ancora scomodo per la Chiesa, che non sa come accompagnare i propri giovani fedeli

La sessualità e l’identità di genere sono ancora un problema per la Chiesa cattolica. Le posizioni del Vaticano restano ancorate a una visione dogmatica che non aiuta a cambiare la cultura omofoba imperante in Italia. La bocciatura in Parlamento del DDL Zan — dopo una gravissima ingerenza del Vaticano negli affari dello stato laico — affonda le sue radici in un atteggiamento cattolico per cui “puoi essere gay-lesbica-trans, sì, ma a condizione che tu non pretenda troppi diritti.” Se dall’esterno la Chiesa appare come un blocco di fedeli monolitico, al suo interno si intravedono spiragli o almeno richieste di cambiamento, grazie all’azione di alcuni gruppi di persone giovani, credenti e LGBTQ+.

“Ci si sente spesso un po’ fuori posto”

Si sente parlare a volte della necessità di una pastorale LGBT, cioè di percorsi spirituali specifici che mirano a una crescita collettiva delle comunità religiose attraverso l’esperienza dei credenti LGBTQ+. Esistono alcuni progetti, che però sono diffusi in modo disomogeneo in Italia. Nascono spesso da iniziative delle singole persone — laiche o no — interessate a questi temi, ma non c’è una cornice in cui inserirli. Alcune realtà religiose si sono aperte più di altre al dialogo con la comunità LGBTQ+, come ll’Azione Cattolica, che ha coinvolto i Giovani del Guado in varie occasioni e si è esposta a favore del DDL Zan. Ma manca un progetto generale che tragga vigore dal supporto dell’istituzione ecclesiastica centrale.

Il progetto dei gruppo Giovani del Guado, ad esempio, deriva dalla storica esperienza milanese Il Guado, nata nel 1980, che coinvolge numerose persone LGBTQ+ nel dialogo con la comunità cattolica. È composto da giovani, che vivono in prima persona l’intersezione di più identità — tra cui quella spirituale — e che hanno provato a intercettare il forte interesse sorto di fronte alla loro esperienza, grazie a una rete disseminata su tutto il territorio nazionale.

Oggi le persone LGBTQ+ e cristiane che hanno sviluppato una riflessione matura sulla proprie identità si trovano davanti a un’istituzione ecclesiastica che non è pronta ad accogliere non solo la loro stessa esistenza, ma anche tutto ciò che ne consegue: le domande che pongono, la loro eventuale vocazione. “La Chiesa ha i suoi tempi, ma è oggi che io devo fare delle scelte di vita e di fede” dice a questo proposito Luigi Pollastro, membro del gruppo Giovani del Guado e del Progetto Giovani Cristiani LGBT, che ci ha raccontato cosa significa — dalla sua prospettiva — vivere l’intersezione di queste identità.

“È sicuramente difficile perché prima di tutto è un’esperienza singolare: in qualunque spazio abiti e con chiunque interagisca, trovo sempre un po’ di confusione davanti a queste due componenti della mia identità,” racconta Pollastro. Le difficoltà di abitare due identità apparentemente in contrasto complicano il processo di posizionamento dell’identità, sia da un lato che dall’altro. “Nell’immaginario collettivo non c’è l’idea che tali aspetti vadano in sintonia, sembrano in antitesi. Ci si sente spesso un po’ fuori posto nella comunità LGBTQ+ perché la Chiesa cattolica come istituzione è stata ed è omofoba, transfobica e sessista. D’altra parte, all’interno della Chiesa, essere apertamente LGBTQ+ ed esserlo unapologetically, senza tristezza o rimorsi, è complicato. Nella comunità si vede la reazione a una discriminazione subita. Nella Chiesa, invece, la discriminazione è agita.”

Il dialogo complesso con la Chiesa

Il gruppo Giovani del Guado ha recentemente incontrato l’arcivescovo di Milano Mario Delpini per un momento di dialogo. Un confronto che si colloca in una serie di primi passi compiuti dalla Chiesa cattolica verso la comunità LGBTQ+.I Giovani del Guado sono seguiti da diverso tempo da don Luca Bressan, vicario episcopale della diocesi milanese, che ha partecipato a numerose iniziative, in particolare durante la settimana dell’IDAHOBIT. Da questo accompagnamento già avviato nasce quindi l’idea di incontrare l’arcivescovo Delpini, per raccontare direttamente a lui la realtà del gruppo.

I membri che hanno partecipato all’iniziativa hanno spiegato le diverse attività del gruppo: i ritiri, la preghiera online durante la pandemia, la partecipazione alle messe domenicali a Milano, il servizio ai senzatetto. Poi è seguito un momento dedicato alla testimonianza, in cui tre giovani hanno riportato la propria esperienza di fede. Le storie raccontate sono andate dall’essere una persona trans cattolica alla partecipazione attiva ai movimenti giovanili e, ancora, alla conversione avvenuta dopo il coming out. Una gamma molteplice di testimonianze che mostra alcuni dei numerosi modi in cui si può essere credenti e LGBTQ+.

“È stata un’ora di dialogo onesto da entrambe le parti” raccontano i Giovani del Guado. L’arcivescovo ha prestato ascolto alle esperienze riportate — un approccio non scontato. Per chi fa parte della gerarchia ecclesiastica, anche solo partecipare a incontri di questo tipo è delicato, perché espone a un dialogo scomodo. La presenza e la testimonianza delle persone LGBTQ+ credenti, infatti, pone costantemente in discussione i dettami della Chiesa e i comportamenti delle comunità religiose.

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Un dialogo onesto che però parte comunque da posizioni molto distanti: Delpini ha parlato con franchezza anche della pastorale LGBTQ+ e di come, a suo dire, i tempi non sarebbero ancora pronti per una sua piena diffusione. Una chiusura che si riversa direttamente sulla pelle di chi invece avrebbe bisogno di un conforto. La Chiesa si trova quindi davanti a giovani che devono compiere delle scelte di fede senza sapere — o senza avere il coraggio di decidere — come accompagnarli.

Da sempre la sessualità è un tema considerato spinoso nel mondo cattolico, che non riesce ancora ad affrontarlo in modo coerente. Già nel Sinodo dei Giovani del 2018 era emersa la necessità di un’elaborazione antropologica, teologica e pastorale approfondita su questi temi. Nel Documento finale si pongono degli interrogativi per ripensare la sessualità, anche alla luce di concetti che sembrano entrare anche nel mondo cattolico come identità di genere e orientamento sessuale. Finché però questi propositi resteranno sulla carta e non verranno inseriti nei percorsi pastorali, non si riuscirà a ripensare davvero alla Chiesa. I passi verso un’apertura sono timidi, ma l’esigenza di un rinnovamento non può più essere ignorata.

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