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Il G20 si è dato un obiettivo già raggiunto, vaccinare il 40% del mondo. Intanto, nei paesi a basso reddito solo l’1,8% della popolazione ha ricevuto almeno una dose

Come era stato anticipato, la dichiarazione finale sottoscritta dai ministri della Salute del G20 non apre alla possibilità di una sospensione dei brevetti, ma prevede di “rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento, per aumentare e diversificare la capacità produttiva di vaccini globale, locale e regionale,” con attenzione in particolare ai paesi a reddito medio-basso. Il “Patto di Roma,” firmato all’unanimità, è un documento di 11 pagine suddiviso in 33 punti incentrato sulla cooperazione multilaterale per una ripresa post-pandemica “salutare e sostenibile.” Al punto 7 viene riaffermato l’obiettivo di vaccinare il 40% della popolazione mondiale entro la fine del 2021 — un’espressione che significa poco: secondo i dati aggregati da Our World in Data il 40,4% della popolazione mondiale ha già ricevuto almeno una dose, ma è il 40% più ricco. Nei paesi a basso reddito, la percentuale di chi ha ricevuto almeno una dose è ferma all’1,8%. 

Che nel testo finale del summit di Roma ci siano soltanto impegni generici e poco concreti è al centro della critica mossa dalle ong Oxfam ed Emergency: “In termini di accesso globale ai vaccini, nessun passo decisivo e concreto è stato impresso per la definizione di strategie e strumenti di medio e lungo periodo, che di fronte a future pandemie, permettano di cambiare il paradigma e mettere fine alle vergognose disuguaglianze nell’accesso alle cure e ai vaccini,” hanno dichiarato Sara Albiani, policy advisor sulla salute globale di Oxfam Italia, e Rossella Miccio, presidente di Emergency. “Nella migliore delle ipotesi, un posizionamento più chiaro in proposito sarà demandato al summit dei leader del G20 di fine ottobre. Nella peggiore, si continuerà a navigare a vista, perpetrando il sistema vigente: Covax, donazioni delle dosi (iniziative lodevoli, ma al momento insufficienti), licenze volontarie e generico supporto al trasferimento tecnologico.”

Dopo lo stop alla liberalizzazione dei brevetti imposto dall’Unione europea, attivisti e studiosi hanno cercato di trovare soluzioni alternative. Harvey Rubin e Nicholas Saidel, dell’Università della Pennsylvania, hanno proposto un modello simile al programma PEPFAR voluto dagli Stati Uniti per contrastare l’epidemia di HIV/AIDS: una partnership tra pubblico e privato per garantire che i paesi più poveri ricevano dosi sufficienti il più in fretta possibile. Tre giorni fa Seth Berkley, l’ad dell’ente di cooperazione mondiale per i vaccini GAVI, ha pubblicato un lungo editoriale in cui chiedeva un impegno concreto per rendere il meccanismo COVAX “un successo.” Berkley sottolinea che senza un’azione più incisiva i danni all’economia saranno ancora maggiori, dato che ci troviamo di fronte a una pandemia “senza una fine all’orizzonte.” Il mese scorso la rivista Nature ha pubblicato un editoriale in cui chiede che la consegna di vaccini a paesi a basso reddito sia prioritaria rispetto alle terze dosi. Riassumendo: da giugno a settembre il discorso sulla distribuzione emergenziale di vaccini è andato avanti, e sono state fatte diverse proposte alternative più vicine all’orientamento ideologico di Stati Uniti e Unione europea — tuttavia, anche questa volta il G20 non è stato in grado di andare oltre le belle parole.

Il meccanismo COVAX di per sé funziona, quando ci sono dosi da distribuire: ieri ad esempio sono arrivate 358 mila dosi in Siria e 108 mila in Etiopia. Il fallimento della campagna vaccinale globale è dovuto alle azioni degli stati più ricchi del mondo, combinate con il collo di bottiglia della produzione dei vaccini. Anche nel contesto di COVAX, infatti, i paesi più ricchi non si sono limitati alle donazioni: a giugno, il Regno Unito ha ottenuto da COVAX 530.000 dosi — più del doppio di quelle che sono state distribuite, nello stesso mese, in tutto il continente africano. Finora, l’unico paese che sta rispettando gli impegni presi con le Nazioni Unite in termini di donazioni è la Cina. Il fallimento della comunità internazionale è in questo senso totale: lo scorso 3 settembre 2020, Berkley specificava l’obiettivo di COVAX: distribuire 2 miliardi di dosi nel corso di quest’anno, ma secondo i dati aggiornati ieri pomeriggio finora sono state distribuite solo 238 milioni di dosi, molte, come abbiamo visto, anche verso paesi che non ne avevano stretto bisogno. 

Nemmeno il ministro Speranza non ha sollevato il discorso brevetti, ma ha ripetuto anche a margine del G20 che la terza dose di vaccino “in Italia ci sarà,” partendo nel mese di settembre “per le persone che hanno fragilità di natura immunitaria,” — anche se, ad oggi, manca un parere ufficiale di Aifa e Cts. E i vaccini per i paesi più poveri? “Le due cose si devono tenere insieme. Non possiamo disperdere il livello di protezione che abbiamo raggiunto nei Paesi dove la campagna è già avanti,” ha aggiunto Speranza. Secondo il ministro, quindi, bisogna “fare una grande operazione in tutti gli altri Paesi del mondo. Le cose non devono essere una alternativa all’altra.”

Tuttavia, sospendere i brevetti è l’unico modo per garantire una drastica accelerazione della produzione dei vaccini — necessaria non solo da un punto di vista umanitario, ma anche per proteggere i paesi privilegiati, dove sempre più persone sono vaccinate, ma che potrebbero non essere protette anche da future varianti, che possono svilupparsi e diffondersi finché non avremo vaccinato tutt*. Al contrario, l’azione di G20 e Unione europea in questo momento è concentrata solo a proteggere chi sulla pandemia sta lucrando: lo scorso maggio Oxfam aveva denunciato che la pandemia aveva creato nove nuovi miliardari, che, insieme hanno un patrimonio netto combinato di 19,3 miliardi di dollari — una cifra con cui si potrebbe vaccinare tutte le persone nei paesi più sfruttati del mondo, secondo l’organizzazione di beneficienza. Oltre a questi nove, altri otto miliardari hanno visto le proprie finanze crescere drasticamente grazie ai vaccini, con un aumento della propria ricchezza combinato pari a 32,2 miliardi di dollari.

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Roberto Speranza mostra il “Patto di Roma” alla stampa. Foto via Twitter