overshoot-day-cover

Oggi è l’Earth Overshoot Day, e quasi 14 mila scienziati hanno firmato una lettera per denunciare che il pianeta è a un passo da diversi “punti di non ritorno.” A pochi mesi dalla COP 26, la politica non tratta ancora davvero la crisi climatica come un’emergenza

Oggi è l’Earth Overshoot Day di quest’anno: dopo l’eccezione dello scorso anno — in cui siamo arrivati alla fine delle risorse che il pianeta produce in un anno con un mese di ritardo, a causa della pandemia — il dato di quest’anno conferma la progressiva accelerazione con cui vengono consumate le risorse naturali, nonostante i crescenti impegni a invertire il trend. Nel 1970 le risorse venivano esaurite, per fare un paragone, il 29 dicembre. Il think tank Global Footprint Network ha presentato un documento per “spostare la data” in vista della COP 26, che si terrà a partire dal primo novembre a Glasgow. L’esaurirsi delle risorse annue è calcolato confrontando la “biocapacità” — la produzione biologica delle risorse naturali da parte degli ecosistemi del pianeta — con lo sfruttamento delle risorse della Terra. L’anno scorso, quando ci si illudeva che l’impatto della pandemia sul cambiamento climatico sarebbe stato maggiore di quando si è rivelato, infatti, l’Overshoot day era arrivato il 22 agosto. Con il risultato allarmante di quest’anno, al contrario, si conferma il trend degli ultimi trent’anni.

grafica Footprint Network, via Twitter

L’unica flessione che si conferma dal 2020 è quella dell’inquinamento causato dai voli internazionali, ancora in decrescita rispetto ai valori del 2019 — a -33%. Non c’è peggiore condanna all’inazione politica dei governi del mondo, forse, se non il fatto che l’unica cosa che è riuscita a interrompere temporaneamente il trend del sovrasfruttamento del pianeta è stata una catastrofe che è costata la vita di milioni di persone.

Quasi 14 mila scienziati da tutto il mondo hanno firmato un “avviso sull’emergenza climatica” pubblicato dall’Alliance of World Scientists. La lettera è accompagnata da un nuovo studio pubblicato sulla rivista BioScience, in cui gli autori avvertono che il mondo è a un passo da diversi punti di non ritorno. L’articolo denuncia che i governi del mondo non stanno facendo abbastanza per contrastare il “sovrasfruttamento della Terra.” Una denuncia analoga era stata avanzata nel 2019, quando i ricercatori avevano segnalato un aumento “senza precedenti” di disastri direttamente collegati al cambiamento climatico. Lo studio è basato su una serie di 31 “segni vitali” per misurare la salute del pianeta. Di questi, 18 sono in condizioni critiche, ad esempio:

  • Nonostante la diminuzione delle emissioni causata dalla pandemia, nel 2021 sono già state registrati picchi senza precedenti di livelli di CO2 e metano nell’atmosfera;
  • Sia in Groenlandia che nell’Antartico i livelli dei ghiacci non sono mai stati così bassi, e si stanno sciogliendo il 31% più velocemente che 15 anni fa;
  • L’acidificazione e le temperature degli Oceani, oltre all’innalzamento del livello del mare, hanno raggiunto nuovi massimi rispetto a quanto rilevato nel 2019;
  • Il bestiame allevato per scopi alimentari ha una massa superiore a quella di tutti gli esseri umani e tutti i mammiferi selvatici del mondo combinati.

Parlando con Al Jazeera, Tim Lenton, direttore del Global Systems Institute dell’Università di Exeter e tra gli autori dello studio, ha sottolineato che il clima ha già iniziato “a comportarsi in modi scioccanti e inaspettati,” indicando alle ondate di calore che hanno colpito il Nord America nelle scorse settimane. Gli autori dello studio indicano diverse aree di azione per invertire la rotta: eliminare i combustibili fossili, ridurre drasticamente tutte le produzioni inquinanti, lavorare per ricostruire gli ecosistemi già distrutti, passare a una dieta basata sui vegetali, e abbandonare modelli di crescita indefinita. Tuttavia, tra gli interventi suggeriti dagli autori c’è anche la necessità di “stabilizzare e ridurre gradualmente la popolazione,” garantendo “pianificazione familiare” e supportando “il diritto all’educazione di tutte le ragazze e le giovani donne,” riducendo le disuguaglianze — obiettivi condivisibili, anche se il controllo della popolazione resta un argomento pericolosamente vicino all’ecofascismo.

Da un paio di anni a questa parte la primavera e l’estate dell’emisfero australe sono diventate occasione di riflessione scientifica e politica sull’entità dei danni causati dal cambiamento climatico. Sul New Statesman Peter Wilby sottolinea che anche gli scienziati più preoccupati non avevano previsto gli sconvolgimenti a cui stiamo assistendo, ed è necessario che la politica inizi ad affrontare il cambiamento climatico con lo stesso senso d’urgenza con cui si è affrontato il Covid–19. Mentre i governi continuano a non fare abbastanza per contrastare la catastrofe, anche pericolosissime testate comuniste militanti come il Financial Times scrivono allarmate riguardo all’inizio di “una nuova fase del cambiamento climatico,” che anche la scienza potrebbe non aver accuratamente previsto, usando modelli di predizione conservativi.

Intanto, la situazione degli incendi negli Stati Uniti resta emergenziale. Finora l’incendio Bootleg, che sta bruciando l’Oregon, ha consumato una superficie pari a nove volte (abbondanti) la città metropolitana di Milano. Come in Italia, il dibattito sul nesso tra cambiamento climatico e incendi, anche dolosi, è molto acceso: Kasha Patel ha compilato una buona spiegazione che illustra come le condizioni meteorologiche alterate favoriscano la diffusione sempre più rapida delle fiamme. Sul South China Morning Post, invece, una serie di infografiche interattive visualizzano la portata senza precedenti dell’alluvione che ha appena colpito la provincia dell’Henan. 

Sostieni l’informazione indipendente di the Submarine: abbonati a Hello, World! La prima settimana è gratis


in copertina: foto CC-BY-SA Gavin SchaeferElaborazione CC-BY-SA the Submarine

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.