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Un articolo del Washington Post ha svelato un cluster di casi legati alla variante inglese, a cui invece la stampa italiana non sembra dare molta attenzione. L’Italia sta facendo abbastanza per limitarne la diffusione?

Da quando è stata identificata, la cosiddetta “variante inglese” — il cui nome ufficiale è VOC-202012/01 — si è diffusa soprattutto in paesi con contatti molto stretti con il Regno Unito, come l’Irlanda e l’Australia. La scoperta dell’alta contagiosità di questa mutazione del virus ha indotto molti paesi a prendere misure più dure per evitarne la diffusione — uno sforzo che però è riuscito solo in parte: la crescita velocissima dei nuovi casi in Irlanda, ad esempio, è dovuta alla diffusione della variante, così come lo stato disastroso dell’andamento dei contagi nel Regno Unito, che oggi è il grande paese europeo con più casi e più morti in rapporto alla popolazione.

In Italia finora sono stati individuati solo alcuni focolai isolati, ed è difficile dire quanti casi siano stati rintracciati di preciso dato che non esiste una lista ufficiale. Secondo quanto riportato da Gisaid, un database internazionale in cui vengono riportate le sequenze del coronavirus trovate e isolate in tutti i paesi del mondo, in Italia fino a ieri ne erano stati individuati una trentina. Come fa notare Pagella Politica, “Questo numero non ci dice granché: sì, qualche caso è stato individuato, ma sul totale dei positivi non ne conosciamo la diffusione e neppure una stima a grandi linee.”

Nonostante il rischio rappresentato dalla variante, il governo italiano non sembra del tutto preparato: nel nostro paese la struttura di sorveglianza sulle varianti del virus è meno efficiente rispetto a quella britannica — che pure, a causa del ritardo d’azione del governo Johnson, è stata travolta. Dopo il clamore suscitato sulla stampa nei primi giorni successivi alla chiusura delle comunicazioni aeree con il Regno Unito, il 20 dicembre, la questione è uscita dalle prime pagine dei giornali.

Finora, la maggior parte dei casi di variante inglese sono stati trovati in modo “attivo,” ovvero effettuando test su persone con legami recenti con il Regno Unito, e dunque non possono essere considerati esaustivi a livello statistico. Ieri, ad esempio, è stato trovato il primo positivo in Piemonte, una ragazza rientrata lo scorso dicembre dall’Inghilterra. Secondo alcune stime, la variante sarebbe stata diffusa in Italia già a novembre — il governatore del Veneto Zaia, l’8 gennaio aveva incolpato la variante di essere la causa della curva “impazzita” nella sua regione, senza fornire però alcun dato a supporto della sua affermazione.

È forte il sospetto che la variante possa essere ben più diffusa sul territorio nazionale. Ieri, un articolo pubblicato sul Washington Post racconta la storia di Guardiagrele, un paese di 9 mila abitanti in provincia di Chieti. A Guardiagrele è stato scoperto un focolaio della variante inglese, con 29 casi accertati — per fare un confronto: in tutti gli Stati Uniti, finora, ne sono stati accertati 76. Nonostante la rilevanza, la notizia non è stata riportata con precisione né dalla stampa locale né da quella nazionale, e non è stata finora commentata in modo esaustivo da nessuna figura pubblica. Il Washington Post riporta anche che nella provincia di Chieti sarebbero stati trovati in totale 51 casi di variante inglese, quasi il doppio di quelle accertate finora su tutto il territorio nazionale: tuttavia, è impossibile trovare conferma di questo dato presso fonti pubbliche o stampa italiane.

Alessio Lorusso, il virologo che lavora all’istituto Zooprofilattico di Teramo e che ha fatto la scoperta, aveva trovato i primi quattro casi relativi a Guardiagrele tra il 26 e il 30 dicembre, all’interno della stessa famiglia, e avrebbe comunicato tempestivamente la scoperta alle autorità regionali. Ciononostante, finora non è stata presa nessuna misura di lockdown specifica per Guardiagrele e le aree circostanti. Secondo quanto riporta il Washington Post, le autorità regionali avrebbero detto che per confermare la notizia sarebbe stato bisogno di una nuova certificazione da parte delle autorità nazionali. Risultato: fino a ieri l’Abruzzo è stato in zona gialla, e molti giorni potenzialmente preziosi per evitare la diffusione della variante sono stati persi. Il sindaco di Guardiagrele, Donatello Di Prinzio, ha dichiarato alla testata statunitense che “la regione non mi ha mai detto ‘caro sindaco, c’è un cluster della variante più infettiva nella tua città, quindi è meglio se fermi tutto.’ In quel caso, avrei preso tutte le misure richieste.” Oggi l’Abruzzo è entrato in zona arancione.

Da oggi è infatti operativa la nuova classificazione delle regioni per colore: Lombardia, Sicilia e provincia di Bolzano andranno in zona rossa, mentre in zona gialla resteranno solo Basilicata, Campania, Molise, Sardegna, Toscana e PA di Trento. Tutte le altre saranno zona arancione. Ieri, inoltre, sono state chiuse le comunicazioni aeree con il Brasile, dove è segnalata una variante pericolosa, ma diversa da quella inglese.