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Sembra che i “costruttori” per far andare avanti il governo senza Italia Viva ci siano. Spesso nella storia della repubblica i piccoli partiti sono stati un “ago della bilancia” — ma questa volta potrebbe non andare così

La crisi di governo procede più velocemente del previsto: ieri Conte ha chiesto di fissare un voto di fiducia in Parlamento già lunedì alla Camera — per il Senato si dovrà attendere lunedì sera o martedì, se i lavori andranno per le lunghe. Nel pomeriggio Conte è andato da Mattarella, e gli ha comunicato la propria decisione di accettare le dimissioni delle ministre di Iv e di cercare “l’indispensabile chiarimento politico” in Parlamento. Per il momento, Conte ha assunto ad interim la delega di Teresa Bellanova all’agricoltura, lasciando vacante quella alla famiglia di Bonetti — che, essendo senza portafoglio, non ha bisogno necessariamente di essere coperta.

La situazione, che subito dopo la conferenza stampa di Renzi era sembrata molto confusa, nel corso della giornata di ieri si è fatta progressivamente più chiara, indicando che la strada scelta dall’esecutivo è quella di una chiusura totale al leader di Italia viva con la conseguente apertura della caccia ai “responsabili” — che in queste ore, in seguito a uno spunto lessicale di Di Maio, stanno iniziando a esser definiti “costruttori.” Il ministro degli Esteri è uscito dal mutismo che l’aveva contraddistinto nelle scorse settimane per rivolgere un appello a tutti i “costruttori europei” perché l’Italia non corra il rischio “di essere macchiata in modo indelebile da un gesto che considero irresponsabile.” 

Anche il Pd ha invertito di 180° la direzione politica precedente alla conferenza stampa di Renzi, quando il partito si dichiarava estremamente scettico sulla conta dei responsabili. Ieri Dario Franceschini si è spinto a dichiarare che “Le maggioranze in un sistema non più bipolare si cercano e si costruiscono in Parlamento: è già avvenuto due volte in questa legislatura, e non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole.” Tutto questo, prima ancora che per rimanere al governo, per far fuori l’odiato ex segretario Renzi e il suo partito, come hanno messo in chiaro il ministro dell’Economia Gualtieri e il segretario Zingaretti: “C’è un dato che non può essere cancellato dalle nostre analisi. Ed è l’inaffidabilità politica di Italia Viva. Che è un dato presente e che mina la stabilità in qualsiasi scenario si possa immaginare un coinvolgimento e una nuova possibile ripartenza.” 

È interessante riflettere sul funzionamento stesso della democrazia italiana, che almeno negli ultimi tre decenni è stato oggetto di critiche e tentativi di riforma da alcuni dei più importanti protagonisti della politica nazionale: soprattutto Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma anche personaggi come Beppe Grillo e Walter Veltroni. Spesso queste critiche si sono concentrate sulla grande importanza che nel sistema parlamentare italiano acquisiscono i piccoli partiti, i quali si trovano spesso a recitare la parte di “ago della bilancia” nella creazione di coalizioni di governo tra partiti con posizioni anche molto diverse tra loro — o, ancora più clamorosamente, a diventare piccoli ma necessari serbatoi di voti per tenere in piedi i governi, come sta succedendo in queste ore. 

La caccia ai responsabili costruttori, che sempre prima della conferenza di Renzi sembrava una missione difficile, secondo la maggior parte dei retroscena sarebbe invece già a buon punto. Tanto per cominciare, si sarebbe trovato un contenitore a cui ascriverli: si tratterebbe del simbolo degli eletti all’estero del Maie, che potrebbero addirittura ribattezzare per l’occasione il proprio gruppo “Maie/Con-Te.” Servono poi in tutto una decina di senatori per arrivare alla maggioranza di 161. Il principale partito-terreno di caccia sembra essere la stessa Italia viva, con 6 senatori che sarebbero pronti ad abbandonare Renzi dopo la sua iniziativa. Tra i costruttori sembra probabile anche Riccardo Nencini, detentore addirittura del simbolo socialista che ha permesso a Iv di avere un gruppo parlamentare: Nencini dovrebbe restare formalmente con Renzi, pur sostenendo la nuova maggioranza, per non costringerlo all’umiliazione di migrare nel gruppo Misto. Maie/Con-te potrebbe arrivare a breve ad avere 18 voti in Senato, proprio quelli portati via da Italia viva. 

Le critiche a questo sistema possono apparire ragionevoli, ma spesso sono mosse da una volontà di concentrare nelle proprie mani una maggior quantità di potere. Quando si sente parlare di “bipolarismo” si parla soprattutto di una grande semplificazione politica, simile a quella a cui si assiste negli Stati Uniti o, in misura minore, in Francia. Negli Usa, com’è noto, esistono sostanzialmente quasi solo due partiti che si alternano al potere. Questo crea un grande appiattimento della dinamica democratica, già viziata da altri fattori, e reso ancora più pericoloso dal sistema di democrazia presidenziale utilizzato dal paese per scegliere il proprio capo di stato. Trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale anziché parlamentare, non a caso, è un sogno nel cassetto di tutta la destra, da Berlusconi — che ci ha provato in passato, senza riuscirci — fino a Meloni e Fratelli d’Italia, che conserva nel proprio programma la proposta di una riforma presidenziale.

Non è un caso che le forze a cui più è piaciuta questa idea nella storia della Repubblica siano parzialmente sovrapponibili a quelle più vicine a posizioni autoritarie o autoritaristiche. Oggi sembra avere ragione Franceschini: il tentativo di cambiare la natura del sistema italiano è fallito, e non è affatto detto che ciò sia un male — anzi. La natura parlamentare del sistema politico italiano ha impedito due tentativi di vero e proprio assalto al potere — uno più serio e l’altro più farsesco — negli ultimi due anni. Anche il Pd sembra uscito dalla fase in cui sembrava convinto che il bipolarismo fosse la migliore soluzione per il paese — una posizione alla base della quale stava la fondazione stessa del Pd, nato come partito a “vocazione maggioritaria” — altri tempi. 

Mentre aumentano le possibilità di riuscita dell’impresa di Conte nella ricerca dei “costruttori,” aumenta infatti anche l’ansia di Renzi e dei renziani, che hanno scommesso tutto su una mossa che li avrebbe resi più rilevanti (?) e rischiano invece di trovarsi fuori da qualsiasi coalizione e privi della benché minima importanza. Ieri il profilo social Facebook di Conte “è stato hackerato” e “qualcuno” ha pubblicato un contenuto derisorio nei confronti del segretario di Iv. Il post invitava ad iscriversi al gruppo “Conte premier-Renzi a casa!” Renzi ha detto che se ci saranno i costruttori non ci sarà Italia viva, ma è parso un po’ in difficoltà, lasciandosi andare a un commento didascalico: “Se Conte ottiene 161 voti ha vinto e governa, poi voglio vedere come. Se invece non arriva a 161 si fa un governo diverso e si arriva al 2023.” 

Tra chi si mangia le mani si segnala anche Matteo Salvini, che era sembrato molto ingolosito dalle possibili aperture di Renzi ad un governo di unità nazionale e ora sta osservando con delusione il progresso delle manovre per la ricerca dei responsabili. Se c’è chi rosica, c’è anche chi può permettersi di esprimere un giudizio severo sull’azione di Renzi da una posizione solida e, in ultima analisi, di assaporare un po’ di vendetta osservando la caccia ai responsabili: è Enrico Letta, che ha rilasciato dichiarazioni durissime su “le follie di una sola persona.” Secondo Letta Conte “ha fatto molto bene a sfidare Renzi, perché la sua strategia non è un rimpasto di governo, ma far saltare il banco,” sostenendo che Renzi “Dovrebbe interrogarsi, chiedersi perché non ci sia un leader o un giornale straniero che gli dia ragione e perché solo il 10% degli italiani pensa stia facendo una cosa intelligente. Dovrebbe ricordarsi della drammatica barzelletta del tizio contromano in autostrada.”

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