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Il presidente del Consiglio ha presentato un altro Dpcm che continua nella direzione del precedente: limitazioni alla vita sociale e al tempo libero, senza novità sul tracciamento dei contagi, sul lavoro e sui mezzi di trasporto

Ieri, dopo una gestazione piuttosto accidentata, è stato approvato il nuovo Dpcm, con cui il governo spera di limitare la crescita dei contagi e alleviare la pressione montante sul Sistema sanitario nazionale. Il presidente del Consiglio Conte ha illustrato le nuove misure nel corso di una conferenza stampa nel primo pomeriggio. In sostanza, l’Italia entrerà in un semi-lockdown almeno per un mese, fino al 23 novembre. Fino a quel giorno, i provvedimenti principali sono:

  • Bar e ristoranti dovranno chiudere alle 18;
  • Didattica a distanza per le superiori, almeno al 75% — mentre si continuerà ad insegnare “in presenza” nelle scuole medie inferiori e alle elementari;
  • Stop a palestre, piscine, impianti sciistici (con una clausola che permette di tenerli aperti “subordinatamente all’adozione di linee guida” validate dal Cts), centri benessere e centri termali;
  • Chiusi cinema, teatri, sale bingo, parchi divertimenti e — ovviamente — discoteche;
  • I negozi al dettaglio, al contrario, potranno rimanere aperti, se garantiscono distanze di sicurezza e si organizzino per contingentare gli ingressi;
  • Su parrucchieri, estetisti e altri servizi alla persona il governo si rimette nelle mani delle Regioni, che potranno decidere autonomamente;
  • Le manifestazioni potranno essere solo statiche, come sit-in: niente cortei;
  • Restano vietate le sagre e le fiere di paese, ma anche le fiere di carattere internazionale, escluse dal Dpcm di settimana scorsa

Sullo spostamento dei cittadini il testo del Dpcm si limita a dare “raccomandazioni”: si chiede di non muoversi quanto possibile, “salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi” e si chiede ai cittadini di non ricevere a casa persone che non facciano parte del proprio nucleo familiare. La scelta di inserire queste misure come forti “raccomandazioni” è forse il segno di compromesso — e di ammissione — più forte da parte del governo nei confronti dell’“affaticamento da pandemia,” di cui l’OMS ha ancora lanciato l’allarme a inizio mese.

Il testo, in realtà, è lievemente meno restrittivo rispetto alle indiscrezioni che erano circolate in precedenza: ci si potrà spostare tra le regioni, ad esempio, e non saranno annullati i concorsi pubblici come quello ordinario per il reclutamento degli insegnanti — e le attività di ristorazione potranno restare aperte nel weekend (sempre con chiusura alle 18). Il governo è venuto incontro solo in parte alle posizioni delle regioni, che ad esempio avevano chiesto di rivalutare la chiusura totale di palestre e piscine ma portare la didattica a distanza al 100%. Per fortuna, non è passata nemmeno la richiesta di fare tamponi solo ai sintomatici per alleviare il carico sul sistema di tracciamento.

Il provvedimento, chiaramente, causerà un danno economico difficilmente calcolabile nell’immediato. Il ministro dell’Economia Gualtieri, confermando quanto detto dallo stesso Conte durante la conferenza stampa, ha ribadito che “entro metà novembre” saranno erogati indennizzi alle 350 mila aziende colpite dal provvedimento, che — sostiene il ministro — saranno superiori a quelli della prima ondata. Nello specifico, si parla di un decreto da circa 5 miliardi, che potrebbe già essere approvato oggi o domani.

Il nuovo Dpcm basterà per riportare “sotto controllo” la curva dei contagi? È difficile dirlo con certezza, ma senza dubbio il provvedimento continua nel solco di quello varato settimana scorsa: una grande stretta sulla sulle attività sociali e sul tempo libero, e nessun cenno né a un miglioramento del sistema di tracciamento né a normative più stringenti per lo smart working per le aziende private — che viene soltanto “raccomandato,” come viene “raccomandato” di non utilizzare i mezzi pubblici se non in caso di necessità. L’impressione è che, nonostante la promessa di considerare lavoro e scuola come le due priorità nazionali, si sia deciso di rinunciare abbastanza in fretta alla seconda per tutelare completamente la prima: una decisione che, a detta di presidi e psicologi, può avere un impatto grave sulla salute degli adolescenti, “pugnalati alle spalle” dopo la seconda ondata. Inoltre il governo ha l’obiettivo di far passare “un Natale sereno” agli italiani, ma non è chiaro nemmeno quando ci si riterrà soddisfatti: quando ci saranno 10 mila casi al giorno? Mille? Cento? Dieci?

Mentre chiedeva — o “raccomandava” — nuovi sacrifici ai propri cittadini, Conte non ha invece speso nemmeno una parola per i tanti fronti su cui lo stato dovrebbe impegnarsi per limitare il contagio, e su cui invece finora si è fatto troppo poco. In tutto il paese è ormai chiaro che il contact tracing non funziona più — eppure il governo non sembra intenzionato a fare niente a riguardo. Il tracciamento dei contatti, per come lo si intende in Italia, per altro, è molto rudimentale, ed è uno dei rarissimi problemi logistici che sarebbe risolvibile semplicemente aumentando in modo lineare il personale addetto. L’archiviazione del contact tracing sembra essere sostanzialmente bipartisan, da Gallera a De Luca, e rivela una completa mancanza di pensiero strategico da parte delle autorità a tutti i livelli: in venti giorni si è passato dalla maratona tv per Immuni a effettivamente far finta che non esista.

Anche archiviando il fallimento sul contact tracing, un dato lo abbiamo: la stragrande maggioranza dei contagi avviene in famiglia. Ciononostante, ad esempio, da aprile non si è fatto abbastanza per ampliare gli spazi — tra caserme e “Covid hotel” — per isolare i positivi fuori dalle proprie case. Finora questi spazi sono stati destinati solo a chi “non può” garantire una quarantena efficace nella propria abitazione, ma si tratta di una distinzione quasi completamente artefatta, e soprattutto su cui le autorità non hanno nessun controllo: vivere in un appartamento grande non garantisce che una famiglia sarà in grado di gestire la quarantena.

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