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Ma il paese non è (ancora?) del tutto chiuso: valgono le stesse deroghe valide precedentemente per il Nord Italia — si può circolare per “comprovate esigenze lavorative,” per altre necessità se muniti di un’autocertificazione, e i mezzi pubblici continueranno a circolare.

Ieri il presidente del Consiglio Conte ha annunciato l’estensione delle misure adottate l’altro ieri per la cosiddetta “zona rossa” a tutto il paese per contenere l’epidemia causata dal nuovo coronavirus: l’Italia è il primo paese al mondo a venire completamente chiuso per quarantena — un record invidiabile, senza precedenti come proporzioni nella storia moderna o antica. La diffusione del contagio, intanto, non sembra rallentare: ieri si sono registrati quasi 1600 casi in più, facendo salire il totale dei positivi a 7985, mentre il bilancio dei decessi è salito a 463.

Il paese però non è del tutto chiuso: varranno infatti le stesse deroghe valide finora per il Nord Italia: si potrà circolare per “comprovate esigenze lavorative” o per altre necessità se muniti di un’autocertificazione e i mezzi pubblici continueranno a circolare. Durante la conferenza stampa Conte ha rassicurato più volte che, sì, bisogna stare a casa, ma bisogna anche andare a lavorare. L’Italia è spaccata tra chi può permettersi di restare a casa — lavorando da remoto o no — e chi è costretto ad andare comunque al lavoro, una discriminazione frutto della situazione estremamente improvvisata e del grave rischio economico che incombe sul paese, ma anche uno specchio di quali siano le priorità della macchina governativa.

La giornata di ieri infatti è stata durissima anche dal punto di vista finanziario. La borsa di Milano ha chiuso con una perdita dell’11%, il peggiore risultato dopo il giorno immediatamente successivo al referendum per la Brexit. Ciononostante, secondo il ministro dell’economia Gualtieri, non ci sono le condizioni per chiudere le contrattazioni, visto che non sarebbero stati registrati attacchi speculativi.

La situazione istituzionale rimane intanto piuttosto confusa. Ieri Conte è apparso provato alla conferenza stampa, inanellando alcune piccole gaffe — come chiamare Salvini “ministro.” Il momento migliore della diretta rimane peròquello in cui Conte prende in giro una giornalista che ragionevolmente non voleva utilizzare lo stesso microfono usato da tutti gli altri. Conte in effetti è parso piuttosto provato dall’intensità di questi giorni. Nella giornata di ieri è circolata l’idea della nomina di un cosiddetto “supercommissario” per l’emergenza. I nomi circolati sono quelli dell’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, e dell’ex capo della Polizia di stato Gianni De Gennaro. È possibile, se la carica verrà istituita, che alla fine però si sceglierà un terzo nome — soprattutto per non dar l’idea di creare, di fatto, uno stato di polizia. I contorni di questa eventuale figura e i suoi poteri non sono chiari, dato che esistono già:

  • un Ministro della salute, Roberto Speranza;
  • un Presidente del consiglio, Giuseppe Conte appunto;
  • un commissario straordinario all’emergenza, Angelo Borrelli;
  • una lunga serie di governatori regionali che fino a ieri hanno fatto quello che hanno voluto.

La speranza è che questa figura possa eventualmente mettere un po’ d’ordine in una catena di comando non chiara. Il lato organizzativo nella gestione della crisi è stato in effetti gravemente scarso, ed è politicamente il fatto già oggi più rilevante e sorprendente di questa vicenda. Fin dal giorno uno tutti gli attori politici in campo hanno dimostrato di muoversi a tentoni, improvvisando completamente ogni singola mossa senza attenersi a qualsivoglia protocollo o idea generale di come un’epidemia anche solo remotamente più seria del normale debba essere gestita.

Un buon esempio di questo affanno lo ha dato ieri la sottosegretaria alla salute Sandra Zampa, Pd, che ha commentato in un’intervista quantomeno frammentaria la drammatica e stupefacente assenza di respiratori, uno strumento medico fondamentale per trattare il Covid-19, sostenendo che “Noi stiamo acquistando ovunque: da un produttore italiano che ne sta producendo altri, ma c’è anche un ordine di acquisto internazionale. Raggiungeremo il 50% in più di respiratori, cioè di posti in terapia intensiva.”