Copertina (dalla pagina fb di Old Fashioned Lover Boy)

Venerdì 22 febbraio torna “Campo Live” – la rassegna musicale di Campo Teatrale – e l’ospite del quarto appuntamento sarà Old Fashioned Lover Boy.

Ne abbiamo approfittato per farci raccontare il suo nuovo disco in uscita a maggio, per sapere qualcosa sulla data zero a Campo Live ma soprattutto per mettere in palio due biglietti per il concerto di venerdì prossimo.

Avevo paura che il cambiamento non fosse supportato, accettato. Poi alla fine quando cambi cerchi di evolverti, di fare cose diverse. Qualcuno può pensare che tu lo faccia perché vuoi aspirare a obiettivi più grandi, o perché ti stai vendendo. In realtà questo disco è molto più complesso di quelli che ho fatto in passato.

Ciao Alessandro, come stai?

Tutto bene dai.

Il 25 gennaio è uscito I Pray, il tuo nuovo singolo.

Si è uscito il primo pezzo e tra poco, il 5 marzo, ne uscirà un altro. Poi, più avanti, ne uscirà un altro ancora e a maggio verrà pubblicato il disco.

I Pray è un brano più essenziale, i pezzi dopo saranno più complessi, verranno fuori anche delle sfumature differenti.

Mi sembra di aver notato un cambio di sonorità rispetto ai brani più vecchi. Nel nuovo singolo ci sono molte influenze R’n’B e soul.

Si, diciamo che fondamentalmente mi ritengo un cantautore, quindi alla fine quando faccio i dischi cerco sempre di metterci qualcosa di diverso. Sono uno a cui piace cambiare. Quando è uscito il mio primo EP (The Iceberg Theory n.d.r.) era quasi alt-folk, in alcuni momenti andava verso lo shoegaze. Già il secondo disco era molto più folk rock, dentro c’era qualche vena di jazz e di soul. In questo album ho messo un sacco di R’n’B perché rispecchia il mio gusto. Chiaramente non sarà un disco black perché non sarei nemmeno credibile, però ho ascoltato tantissima roba che viene da quel mondo lì.

Tipo?

Frank Ocean, Daniel Caesar, che è uno che apprezzo moltissimo. Ma anche Rex Orange County o James Blake. Diciamo che in generale è un disco in cui ci sono molte più influenze di questo tipo proprio perché i miei ascolti sono cambiati. È anche una scommessa verso me stesso, perché da dieci anni ho sempre suonato con una chitarra in mano, quindi è un po’ anche un tentativo di crescita personale come musicista.

Ho letto che venivi etichettato come cantante folk ma che in realtà a te piace essere definito come uno che fa canzoni.

Fondamentalmente si, non credo neanche di avere le qualità tecniche per poter essere considerato un cantante folk. Oltre al songwriting i cantanti folk hanno anche un modo di suonare la chitarra, il fingerpicking, che è particolarmente virtuoso. Io sono sempre stato uno che scrive le canzoni e le canta, il vestito cerco di farlo sempre un po’ diverso perché è la naturale evoluzione delle cose. Non mi piace rimanere fermo nelle mie certezze.

Tra l’altro, musicalmente parlando, questo è un periodo molto contaminato quindi ci sta che uno esca anche dal seminato.

Guarda, te lo dico molto apertamente, se facessi qualcosa per cercare di raggiungere degli obiettivi di successo non scriverei in inglese. Il fatto che scriva canzoni in inglese in Italia è sintomo del fatto che cerchi di fare quello che voglio senza trovare dei compromessi che poi alla fine non pagano.

In realtà pensavo fosse un valore aggiunto quello di cantare in inglese.

Sicuramente apre molte strade all’estero. Nel senso che hai la possibilità di suonare fuori, visitare posti, fare esperienze. In Italia è una tragedia, nel senso che comunque l’esplosione dell’itpop ha un po’ soffocato il resto. Diciamo che finché fai musica folk riesci a trovare, magari, dei locali in cui fare degli house concert. Portare avanti un discorso come quello che sto portando avanti io, in questo momento, in Italia è complicato. Infatti tutta la promozione e lo sforzo dell’etichetta è stato fatto all’estero.

Come sta andando?

Il pezzo è uscito da un paio di settimane. Poi ci sarà un altro singolo che uscirà con un video quindi vedremo come va. Però in realtà al momento il riscontro è ottimo sulle radio, perché sta girando molto fuori dall’Italia, in america nelle college radio, in Inghilterra. Sto lavorando con questo ufficio stampa inglese e quindi la promozione sta andando quasi tutta da quelle parti. Poi in autunno, dopo l’uscita del disco, inizieremo con i concerti.


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Al nuovo brano ho letto che ha collaborato Marco Giudici e Andrea Suriani.

Andrea Suriani è arrivato dopo, a disco già concluso. Marco invece è stato il produttore artistico del precedente disco, però sull’altro album il lavoro era stato molto più istintivo. Io andai da lui con i pezzi, li registrammo e producemmo assieme, era stato un lavoro molto più veloce. Qui invece è stato fatto proprio un lavoro da zero. Molti pezzi sono stati costruiti assieme proprio perché volevo che l’album avesse delle sonorità completamente diverse. Il disco è scritto quasi tutto al piano e il suo apporto è stato grande, anche perché Marco ha una sensibilità incredibile e ha un modo di lavorare alla musica totalmente personale, infatti non mi sembrava quasi di lavorare con un produttore ma con un artista che, appunto, ha un approccio molto artistico alle cose.

A proposito dell’album, tempo fa avevi scritto di aver ricevuto alcuni commenti ‘interdetti’ dagli addetti ai lavori.

Diciamo che anch’io ero molto impaurito. A differenza di altri artisti non ho una fanbase così sviluppata. Però è molto accanita ed è molto abituata ad ascoltare le cose che ho fatto. La mia paura era che il cambiamento non fosse supportato, accettato. Poi alla fine quando cambi cerchi di evolverti, di fare cose diverse. Qualcuno può pensare che tu lo faccia perché vuoi aspirare a obiettivi più grandi, o perché ti stai vendendo.

In realtà questo disco è molto più complesso di quelli che ho fatto in passato. Per me è una sfida enorme, perché si tratta di salire su un palco suonando un pianoforte, senza uno strumento, per cui io avevo paura di ricevere commenti un po’ interdetti ma in realtà i commenti poi sono stati ottimi perché, mi è stato detto, comunque rimane una continuità con i pezzi vecchi. E me ne sto rendendo conto.

Il concerto a Campo Live sarà una prova anche per vedere come funzionano dal vivo i nuovi brani.

Assolutamente. Io la sto chiamando data zero perché non è nel cartellone del tour e perché sarà una prova prima delle date che seguiranno l’uscita del disco.

Come porterai i tuoi brani dal vivo?

Sarà sicuramente un set elettrico. Ci saranno quattro o cinque canzoni del disco nuovo, incluso il singolo I Pray. Riarrangerò alcuni pezzi vecchi in questa nuova chiave neo soul con la band e poi farò una parte di concerto in cui suonerò tre o quattro pezzi da solo.

Nei piani potrebbe esserci anche, tra un po’ di mesi, l’ipotesi di registrare di nuovo il disco chitarra e voce, facendo poi un mini tour da solo. Perché comunque i nuovi brani non rappresentano un abbandono del vecchio percorso ma un momento di passaggio, che non significa abbandonare la chitarra acustica.

A Campo Live sul palco ci sarà anche Marco Giudici?

Marco in realtà non fa parte della band, che è composta da altre tre persone: Jack (Giacomo Fiocchi, Plateaux n.d.r.), Martino e Luca (Royal Bravada n.d.r.).

Comunque io lo spero! Dipenderà anche, ovviamente, dai suoi impegni.

The Submarine seguirà come media partner il progetto e la programmazione, rivelando i futuri artisti mese per mese.


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