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Abbiamo parlato con Jacq, un artista completamente anonimo di Prato che ritrae i propri soggetti senza volto, a loro insaputa.

A Prato si aggira un ragazzo di nome Jacq, artista senza volto che fa ritratti senza volti. Quando si presenta un’intervista tra le prime cose da fare c’è sicuramente una piccola introduzione con cui presentare chi abbiamo incontrato. Questa è un’intervista, però non sappiamo chi sia il soggetto intervistato. Anzi, nessuno lo sa. Abbiamo deciso di partire proprio da questo: chi è Jacq?

Jacq è un ragazzo di Prato — e con questo si esauriscono le informazioni che abbiamo sulla sua identità — che dal 2016 ha iniziato a ritrarre, con dei quadri dipinti ad olio, alcune persone della sua città. I soggetti non sanno di essere ritratte, lo scoprono – se lo scoprono – casualmente, sbirciando il profilo Instagram di Jacq.

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Proviamo a fare chiarezza: un ragazzo che fa dei ritratti senza farsi vedere, dei ritratti che non hanno volto, di persone che non sanno di essere dipinte. Ne abbiamo parlato con Jacq – rigorosamente via Skype e senza video – dopo aver visitato la sua prima mostra personale “I volti di Prato.”

Allora Jacq, cerchiamo di capirci qualcosa partendo dall’inizio: come nasce questo progetto?

Questo progetto nasce totalmente a caso e questa frase probabilmente me la sentirai dire spesso perché è il motore di tutto il mio lavoro. Posso sicuramente dire che i volti di Prato, ovvero questa serie di ritratti senza volto che ho fatto ad alcune persone della mia città, è diventata una realtà nel settembre del 2016 quando ho deciso di dargli un nome e di raccogliere i vari quadri fatti fino a quel momento.

Le persone che ritraggo non sanno di essere ritratte, o per lo meno lo scoprono dopo.  Quello che faccio è semplicemente andare in giro per Prato a osservare, quando una persona mi colpisce torno a casa e la dipingo.

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Perché hai scelto di dipingere ritratti che non hanno un volto?

Il primo di questi ritratti è uscito a caso — rieccoci, ti ho avvertita che lo avrei detto spesso — si tratta del mio autoritratto. L’ho fatto così senza pensarci, non cercavo di seguire un preciso stile e solo ad opera conclusa mi accorsi che non aveva il volto. Eppure riuscivo a riconoscermi lo stesso. Credo che il motivo sia questo, voglio offrire alle persone un’altra prospettiva di loro stesse, più difficile da captare ma che comunque riesca a rappresentarle.

Poi devo ammettere di essere molto affascinato dalle linee in generale,  dalle posture dalle forme e dai lineamenti, che riescono a raccontare tante cose. Molte volte quello che mi fa scegliere una persona come prossimo soggetto di una mia opera è proprio il modo in cui è seduta o come cammina, come si muovono i suoi capelli o come aspetta l’autobus alla fermata.

Nel giro di pochi mesi il tuo progetto ha riscosso un certo successo, ormai a Prato tutti parlano dei tuoi volti e l’interesse per il tuo stile ha superato i confini della tua città e della Toscana. A giugno infatti alcune tue opere saranno presenti anche a Verona per “L’autentica art fair.” Come sei riuscito a far conoscere il tuo lavoro?

Sicuramente la svolta è arrivata con l’apertura dell’account Instagram, da lì il progetto è diventato condivisibile. L’iter che seguo è più o meno questo: io faccio un quadro senza avvertire la persona ritratta, poi metto la foto del dipinto su Instagram e qualcuno dalla foto riesce a riconoscere il soggetto che poi mi contatta per ringraziarmi o insultarmi. Più per ringraziarmi però! Quasi tutte le persone che ritraggo riescono a scoprire del loro quadro essenzialmente grazie a questo passaparola. Di sicuro è una strategia che funziona perché Prato non è una città molto grande e tanti, se non tutti, si conoscono.

La cosa simpatica è che spesso più persone vengono riconosciute, o si riconoscono, in uno stesso quadro proprio per la mancanza di rappresentazione dei dettagli del volto. In questi casi si crea un po’ di confusione che però è molto divertente e fa circolare ancora di più i miei quadri.

Tra gli aspetti più originali del tuo lavoro ci sono anche gli adesivi, questi stickers che si possono trovare ormai un po’ ovunque che raffigurano i tuoi quadri. Ci racconti come funzionano?

Gli adesivi sono forse l’elemento che rappresenta al meglio l’obiettivo di questo mio progetto, ovvero “disturbare” l’ordine sociale. C’è una componente sovversiva nel mio lavoro che reputo centrale, l’idea di ritrarre le persone senza avere il loro consenso, di non avvertirle neppure a opera compiuta e pubblicata, anche il mio stesso anonimato, tutto ruota intorno alla volontà di incuriosire attraverso atti non convenzionali e scomodi.

Gli adesivi nascono in quest’ottica. Di notte andavo (e vado),  in giro per la città ad attaccare, davvero un po’ ovunque, anche nei bagni dei locali più lerci per intenderci, questi adesivi che sono delle miniature dei miei quadri. L’idea è piaciuta molto, in tanti sono arrivati sui miei profili perché avevano trovato uno dei miei adesivi, così ho pensato di rendere condivisibile anche questo aspetto.

Ho stampato diversi adesivi e li ho regalati lasciandoli nei bar, nei negozi e così via, oppure chiedendo ai miei amici (i pochi che sanno chi sono) di darli via in giro. Da allora ricevo tantissime foto fatte da persone che attaccano i miei adesivi per tutto il mondo. L’ultima testimonianza che ho ricevuto, per esempio, arriva da Dubai. È bellissimo sapere che le mie opere viaggiano così tanto.

Proviamo a parlare anche del tuo anonimato. C’è un motivo preciso dietro questa scelta?

Si, l’anonimato è una componente imprescindibile del mio progetto. Voglio che siano le persone il focus su cui soffermarsi, non chi le ritrae. Inoltre considerando che spesso quello che faccio, come ti spiegavo sopra, è a tratti sovversivo, l’anonimato mi serve anche per tutelarmi e per sentirmi più libero.

Quando il mio progetto ha iniziato a circolare molto, tutti a Prato si chiedevano chi fossi. Ovviamente c’è qualcuno che sa chi sono, i miei amici e i miei parenti, e qualcuno di loro mi ha sicuramente sputtanato, infatti io non so chi sa chi sono (ride). Mantenere l’anonimato nella città dove sono nato e cresciuto, e dove vivo, è davvero molto difficile, per questo motivo ho iniziato a stampare, e attaccare, altri adesivi con la scritta “#nonsputtanarejacq.” Per fortuna hanno funzionato abbastanza, da allora le mie opere sono tornate ad essere le vere protagoniste del progetto.

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Quali saranno le tue prossime mosse?

La mia prima mostra a Prato è andata davvero bene e mi ha fatto capire che è il momento di andare oltre la mia città. “I volti di Prato” voglio che siano i volti di Jacq, ovvero non solo ritratti delle persone della mia città ma di tutta la gente che incontro in giro. Ho partecipato anche alla Biennale d’arte di Venezia con due mie opere e a Giugno parteciperò all’Autentica Art Fair. La direzione in cui mi sto muovendo è proprio quella di far viaggiare le mie opere, così come fanno i miei adesivi.

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Sul sito di Jacq si legge una citazione di Bruno Munari che dice: “Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.”

Con i suoi ritratti senza volto Jacq cerca di semplificare le persone senza ridurle, fa in modo che alcuni dettagli diventino essenziali e soprattutto offre – senza chiedere e dunque senza pretendere – una visione di noi stessi che altrimenti non saremmo capaci di vedere, abituati come siamo a specchiarci di continuo.

Quindi mi raccomando: non sputtanate Jacq.


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