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in copertina, foto Fidesz

Il PPE è il principale partito europeo pro-integrazione, insieme a S&D, ma non si fa problemi a supportare leader profondamente euroscettici, pur di preservare il proprio dominio nelle istituzioni Ue.

La vittoria di Viktor Orbán e del suo partito, Fidesz, alle elezioni ungheresi dell’8 aprile non è stata una sorpresa per nessuno. Dopo otto anni di governo ininterrotto (dall’aprile del 2010), Orban ha ormai consolidato l’egemonia del suo partito, trasformando di fatto in una formalità gli appuntamenti elettorali. Ciò è stato possibile grazie all’introduzione di una nuova legge elettorale, approvata nel 2014 da Fidesz grazie all’ampia maggioranza a sua disposizione in parlamento. La nuova legge ha ridisegnato i collegi elettorali in modo da favorire i candidati del partito di Orbán, ridotto il totale dei seggi del parlamento e abolito il secondo turno concentrando la battaglia nelle nuove circoscrizioni, dove il vincitore porta a casa tutti i seggi a disposizione, penalizzando i piccoli partiti di opposizione.

Come se ciò non bastasse, dal 2010 Orban ha condotto con incredibile costanza una massiccia campagna mediatica, tempestando gli ungheresi con la sua propaganda xenofoba e anti-immigrazione. La sua vittoria, ancora prima dei suoi trionfi elettorali, sta nell’aver convinto i cittadini di un Paese che nel 2016 ha registrato 3 richieste di asilo ogni 1000 abitanti (dati Eurostat) che il loro primo problema sia una fantomatica invasione musulmana che “minaccia la cultura e i valori del popolo ungherese”. Lo ha potuto fare grazie ad una graduale occupazione del panorama mediatico ungherese,  su tutti la tv pubblica , usata come vero e proprio megafono del governo.

Nel suo report sulle scorse elezioni (disponibile qui in inglese), l’Osce ha criticato Fidesz per la sua campagna elettorale “ostile e intimidatoria”, lamentando come il “continuo sovrapporsi tra l’informazione governativa e la campagna elettorale della coalizione al potere”, insieme agli “abusi di risorse amministrative” abbiano dissolto le linee di separazione tra lo Stato e il partito. Accuse gravi, che fanno pensare che l’Ungheria abbia vissuto negli ultimi anni in un sottile limbo tra democrazia e dittatura, e che stia scivolando velocemente nella seconda.

Lo studioso Bálint Magyar parla senza mezzi termini di “stato mafioso.

Per questi motivi, la vittoria di Orban alle scorse elezioni non sorprende: la conquista dei due terzi dei seggi del parlamento da parte di Fidesz era ampiamente pronosticabile. Quello che sorprende è l’allineamento sempre più evidente  allo spartito di Orban della sua famiglia politica europea, il PPE (Partito Popolare Europeo), che raccoglie tra le sue fila i principali partiti conservatori dei paesi membri dell’Unione Europea.

I rapporti tra il PPE e il suo enfant terrible ungherese sono stati spesso tesi, ma non abbastanza da far pensare ad una rottura. Mentre Orban trasformava passo passo l’Ungheria in una “democrazia illiberale” (parole sue), i vertici dei Popolari europei si sono limitati a qualche richiamo pubblico — più o meno severo — a rispettare lo stato di diritto e l’equilibrio tra poteri, senza mai minacciare l’espulsione di Fidesz dal PPE. Al contrario, hanno preferito mantenere Orbán nella loro orbita.

Ai critici della sua posizione troppo flebile nei confronti di un dittatore in fieri, il PPE ha ribadito sostenendo di poter esercitare più influenza sulle mosse di Orbán soltanto tenendo Fidesz tra i propri ranghi, piuttosto che escludendolo. Dietro il sostegno incondizionato dei popolari c’è però soprattutto altro: Fidesz rappresenta un bacino sicuro di seggi per il PPE, che al Parlamento europeo è il gruppo politico più nutrito e potente. Gli esponenti del PPE occupano le funzioni principali delle istituzioni europee: sono infatti popolari il presidente dell’emiciclo Antonio Tajani, quello della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, e persino Donald Tusk, che presiede i summit tra i leader dei 28 paesi membri. Un dominio a cui il partito, che conta tra le sue fila anche la CDU della cancelliera tedesca Angela Merkel, non ha alcuna intenzione di rinunciare, soprattutto in vista delle prossime elezioni del Parlamento Europeo. E Orbán ne approfitta.

Ma il sostegno a Fidesz e al suo leader va al di là dei meri calcoli elettorali del gruppo. Ultimamente la dirigenza del PPE sembra voler adottare la retorica del premier ungherese, fatta di richiami alle tradizioni nazionali e alla cultura cristiana, di esaltazione del popolo contrapposto alla minaccia degli “stranieri invasori.” In un tweet postato sul suo profilo nei giorni di Pasqua, Manfred Weber, l’attuale capogruppo del PPE al Parlamento europeo, ha invocato “un dibattito sull’identità e la cultura dominante,” parlando di “difesa del nostro stile di vita”. Il testo era accompagnato dalla foto di una chiesa (San Cataldo di Palermo), con tanto di crocifisso in bella vista. Un messaggio che non è passato inosservato ed ha scatenato reazioni diverse, dall’ironia all’indignazione, tra gli eurodeputati degli altri partiti.

All’indomani delle elezioni, Weber si è unito ai leader delle principali forze di estrema destra d’Europa, da Marine Le Pen in Francia a Geert Wilders in Olanda, nelle congratulazioni ad Orban. Il capogruppo conservatore, che proviene dalla CSU bavarese, ha dichiarato in un altro tweet di “non vedere l’ora di continuare a lavorare” col premier ungherese “verso soluzioni comuni per le sfide europee.” L’ennesima conferma della benevolenza del PPE nei confronti del controverso leader di Fidesz.

A poco sono serviti i richiami di alcuni eurodeputati popolari, che hanno condiviso la loro indignazione per le congratulazioni di Weber al “responsabile di politiche che danneggiano i valori europei,” come si legge in una mail inviata dal parlamentare svedese Gunnar Hökmark al leader del PPE, e rivelata dal giornale online Politico.

“Le tue dichiarazioni rendono le cose più difficili a tutti coloro che combattono per un’Europa della libertà e della democrazia, e non da ultimo ai membri di Fidesz che sono critici verso la leadership di Orbán,” ha attaccato Hökmark.

Visto lo stato delle cose, è molto difficile che la leadership del PPE cambi direzione. Semmai, l’accondiscendenza dei popolari europei nei confronti di Orbán è l’ennesimo indizio dello scivolamento verso destra dei partiti di centrodestra in Europa. Lo si è visto in Austria, dove il giovane cancelliere Sebastian Kurz governa al fianco dell’FPӦ, partito notoriamente antisemita e xenofobo. Ma anche in Italia, dove Forza Italia va a braccetto con la Lega e Fratelli d’Italia, dando vita ad un’insolita alleanza che prevede una spartizione dei ruoli tra il “poliziotto buono-moderato”, Silvio Berlusconi, ed i “poliziotti cattivi-sovranisti,” Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

foto Ferenc Isza, EC – Audiovisual Service

I partiti di centrodestra appaiono sempre più inclini ad adottare la strategia politica di Orbán: definire l’immigrazione il problema numero uno della società, ma anche utilizzare Bruxelles come capro espiatorio per i mali del Paese. Tutto ciò torna utile per mascherare i reali problemi: le crescenti disuguaglianze economiche e sociali visibili in molti stati europei, ma anche la corruzione della politica e dell’amministrazione pubblica, specie nel caso ungherese.

Il PPE porta in seno un’enorme contraddizione: è il principale partito europeo pro-integrazione, insieme ai Socialisti e Democratici (S&D), ma non si fa problemi a supportare leader profondamente euroscettici, oltre che illiberali come Orbán. Si tratta di un paradosso non da poco per la famiglia politica a cui appartengono i padri fondatori dell’Unione europea, dal tedesco Helmut Kohl (CDU) al francese Robert Schuman (Movimento repubblicano), passando per Alcide De Gasperi (DC). Leader conservatori che hanno promosso con convinzione la cooperazione internazionale, contribuendo ad abbattere i muri eretti tra le nazioni europee in anni di guerre fratricide.

Da bastione dell’europeismo, il PPE potrebbe diventare la casa dei sovranisti, pronto com’è a sostenere leader xenofobi e nazionalisti pur di mantenere il proprio potere nelle istituzioni Ue. In molti se ne sono accorti. Così c’è già chi invita Matteo Salvini ad unirsi alla festa, col seguente ragionamento: se i popolari europei sostengono Orbán, perché dovrebbero essere ostili al leader della Lega? Difficile dargli torto.

Weber e Joseph Daul, il presidente del PPE, hanno scelto la via dell’opportunismo politico, molto probabilmente per tutelarsi in vista delle prossime elezioni europee, che si terranno nella primavera del 2019. Questa linea potrebbe pagare in termini elettorali nel breve periodo, ma quanto sarà benefica per il futuro dell’Unione?