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Cosa significano gli eventi di queste due settimane per i colloqui di pace, basati sull’accordo di Oslo del 1993 tra il governo israeliano e l’organizzazione per la liberazione della Palestina?

La settimana scorsa il parlamento israeliano ha ratificato la legge “Gerusalemme unificata,” che impedisce a qualsiasi governo israeliano di rinunciare a qualsiasi territorio parte di Gerusalemme senza l’approvazione di una maggioranza parlamentare straordinaria di non meno di 80 su 120 membri (due terzi del parlamento). In precedenza, il partito di destra Likud — che guida l’attuale governo israeliano — aveva approvato in modo schiacciante una decisione di imporre la legge sugli insediamenti e le loro espansioni in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme occupata, e di annetterli a Israele, e si prevede che il partito trasmetta la risoluzione in parlamento per diventare legge. Questi rapidi passi di intensificazione seguono direttamente la decisione senza precedenti del presidente statunitense Trump di spostare l’ambasciata del paese a Gerusalemme, in una chiara dichiarazione che quest’ultima è la capitale dello Stato di Israele.

Registrando che la decisione statunitense viola direttamente la risoluzione 478 del Consiglio di sicurezza, adottata nel 1980 — che invita tutti gli Stati ad astenersi dall’insediare missioni diplomatiche nella città santa di Gerusalemme — e senza dimenticare la lunga storia di Israele nell’astenersi dall’attuare le risoluzioni delle Nazioni Unite, la più importante delle quali è la risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza, adottata nel 1967 e che indicava a Israele di ritirarsi completamente dai territori occupati dopo il conflitto del 1967.

Cosa significa tutto questo per i colloqui di pace, basati sull’accordo di Oslo del 1993 tra il governo israeliano e l’organizzazione per la liberazione della Palestina? Semplicemente: la fine della soluzione dei due stati.

Ma prima rivediamo insieme alcune delle principali disposizioni degli accordi di Oslo del 1993:

  • L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) rinuncia all’azione militare contro Israele;
  • l’OLP riconosce lo stato di Israele basato sul 78% delle terre palestinesi esistenti prima del 1948;
  • Israele riconosce l’OLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese;
  • in cinque anni, Israele si ritira dalle terre della Cisgiordania e della Striscia di Gaza;
  • Israele riconosce il diritto dei palestinesi a stabilire l’autogoverno sui territori da cui si ritirano in Cisgiordania e Gaza;
  • i colloqui su questioni relative a Gerusalemme, luoghi santi, rifugiati e insediamenti sono posticipati al livello di “negoziati sullo status permanente” dopo tre anni.

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È chiaro quante concessioni l’autorità palestinese abbia fatto nel cercare di conquistare un autogoverno che neanche ha la sovranità. Per non parlare di evitare l’inclusione di questioni fondamentali nell’accordo, come il diritto dei rifugiati a tornare, e fermare la costruzione di insediamenti, anche temporaneamente.

Nel frattempo e dalla firma dell’accordo, le autorità israeliane non hanno mai attivato gli accordati “negoziati sullo status permanente,” hanno accelerato il ritmo della costruzione degli insediamenti, hanno continuato i tentativi di colonizzare Gerusalemme in violazione delle raccomandazioni dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, hanno creato la detenzione amministrativa sotto il quale 580 prigionieri Palestinesi vengono arrestati senza processo, e inevitabilmente annuncerà l’annessione di tutta la Gerusalemme. 

Con la violazione di punti sostanziali nell’accordo di Oslo, particolarmente per quanto riguarda Gerusalemme, e con la continuazione di pratiche ingiuste e ostili da parte delle autorità israeliane, sembra opportuno annunciare ufficialmente il decadimento dell’accordo di Oslo, e potrebbe anche innescare una grave esplosione popolare all’interno della Palestina.

Oggi il ruolo statunitense nella sponsorizzazione dei colloqui di pace è finito, dato che ora è parte del problema. L’Unione Europea dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e ricoprire la posizione degli Stati Uniti in qualsiasi futuro accordo, facendo pressioni sulla parte israeliana e sostenendo le opzioni palestinesi. L’intellettuale americano–palestinese Edward Said una volta disse che la pace e la convivenza possono essere raggiunte solo da parti equivalenti.