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Cercando di soddisfare la mia costante ricerca di gusto umami mi sono imbattuto in una delle peggiori aberrazioni mai ideate dalla mente umana: del cibo per gatti mascherato da snack di soia.

Qualche giorno fa sono andato in un negozio che conosco bene dalle parti di via Padova per comprare l’occorrente per fare il ramen — quello vero, non quello precotto in buste che costano ottanta centesimi. Mentre vagavo con passo incerto tra gli scaffali ho realizzato che sono troppo pigro e ho finito per comprare tre di quelle buste sopraccennate. Oltre al ramen precotto, forse perché colpito dalla confezione, sono uscito dal negozio avendo acquistato anche degli snack di soia piccanti. Di loro mi attirava il fatto che non capissi se fossero dolci e salati e speravo, grazie ad essi, di soddisfare la mia costante ricerca dell’umami nel mondo occidentale.

Sapete cos’è l’umami? Se non lo sapete: le nostre papille percepiscono diverse tipologie di gusti; oltre ai classici salato, dolce, amaro e aspro esiste un quinto gusto che si chiama, appunto, umami ed è essenzialmente il sapore di glutammato. La cosa interessante è che la definizione di umami, che in giapponese significa letteralmente “saporito”, fu coniata solo nel 1908 da Kikunae Ikeda. 

Userò le parole della massima autorità in fatto di umami per spiegarmi meglio:

“Taking its name from Japanese, umami is a pleasant savory taste imparted by glutamate, a type of amino acid, and ribonucleotides, including inosinate and guanylate, which occur naturally in many foods including meat, fish, vegetables and dairy products. As the taste of umami itself is subtle and blends well with other tastes to expand and round out flavors, most people don’t recognize umami when they encounter it, but it plays an important role making food taste delicious.”

Beh, errore mio credere che lo avrei trovato qui ma arriviamoci con calma.

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Non ho idea, non ho assolutamente la minima idea, da quale oscura bolgia infernale sia uscita questa cosa o chi nel mondo possa apprezzarla. Mi ero insospettito quando ho notato che gli snack erano impacchettati singolarmente, come se dovessero nascondere qualcosa.

Non so se avete mai avuto un gatto in casa, ma io ne ho da sempre e, quando avevo circa sei anni, ero incuriosito da che sapore avesse il cibo per gatti. Un giorno ne assaggiai un pezzo. Sì, sul serio. Considerando lo schifo che si mettono i bambini in bocca non è neanche la cosa più disgustosa che si possa immaginare. Il mini-me di sei anni vi riporta questa preziosa informazione conquistata sul campo: il cibo per animali è per animali e non per esseri umani per una ragione e per fortuna sono facilmente distinguibili.

A meno che a un certo punto nel mondo qualcuno non decida di prenderlo, impachettarlo e venderlo come “snack di soia” perché è questo quello che ho mangiato. La consistenza molle e viscosa, unto e gelatinoso al tatto, il sapore di presa in giro. Non riesco neanche a descrivere il disgusto che ho provato nell’assaggiarlo; ogni volta che ci penso ho dei flashback tipo disturbo post-traumatico. Non so se avete visto il primo Rambo, dove Rambo sbarellava per le ingiustizie subite miste al PTSD, ma se lo avete visto immaginate quella situazione elevata alla cento.

Terribile. Semplicemente terribile. Non riesco a credere di aver speso un euro per questa cosa quando avrei potuto darlo in beneficenza a qualche ONG che combatte contro gli abusi della soia.

Nel caso non lo aveste capito, sconsiglio di comprare questo prodotto.

VOTO 1/10


KONBINI: Più di un semplice food blog: un viaggio onirico nel cibo esotico metropolitano, tra le luci al neon dei negozi aperti h24 e le panchine dei parchetti. Tutte le puntate qui.