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STRASBURGO—Cosa significa morire di parto o essere madri quando si è ancora bambine? Se lo sono chiesti ieri i deputati del Parlamento europeo in occasione della seduta plenaria. La Commissione dei diritti della donna e dell’uguaglianza di genere, insieme al vice presidente della Commissione e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno moderato una discussione di novanta minuti sul tema, a cui seguirà una votazione oggi.

Nel mondo, ogni 28 minuti una bambina che ha un’età compresa fra gli 8 e i 12 anni si sposa: sono 14 milioni ogni anno le bambine costrette a sposarsi con uomini molto più vecchi di loro.

Un terzo prima degli 8 anni, un nono prima dei 15. Se il ritmo rimanesse invariato, nel 2030 le spose bambine saranno 150 milioni in più e raggiungeranno la quota di 950 milioni.  

“Ho una nipote di 8 anni che gioca con le bambole e va a scuola,” ha detto la deputata spagnola Iratxe Garcia Peres. “È fortunata a essere nata dove è nata, ma non possiamo basarci su questo. Troppe bambine vengono maltrattate e abusate quotidianamente da quelli che, per legge, vengono definiti loro mariti. Tutto questo deve essere fermato, la politica europea deve agire.”

L’onorevole Gericke ha continuato sulla stessa linea: “Chi abusa dei bambini commette reato e l’Europa deve combattere tutto questo. Non ha senso che i paesi membri condannino il matrimonio minorile solo in legibus, perché poi, di fatto, queste leggi non vengono rispettate e il matrimonio contratto all’estero viene accettato.”

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Il matrimonio minorile è una verità quotidiana in tutti i paesi membri, a ricordarlo è anche l’onorevole Aiuto, facendo riferimento agli approfondimenti ultimamente tornati sulle pagine dei giornali delle spose bambine italiane che, dalla Sicilia, vengono rimandate nel Paese d’origine dei genitori — Bangladesh, India, Sri Lanka e Pakistan, ma anche Niger, Chad e Repubblica Centroafricana — per sposarsi.

“Queste bambine sono europee e, come tali, non possono essere espropriate di diritti inalienabili, come poter scegliere chi sposare, se studiare e cosa fare del proprio corpo,” sostiene Beatriz Becerra Basterrechea, che propone una coordinazione tra diversi settori — in primis istruzione e sanità — per risolvere il problema, insieme al progetto di ridurre gli aiuti agli stati in questione.

Fil rouge che unisce molti degli interventi della seduta, in realtà, che nella maggior parte dei casi hanno evidenziato un elemento comune: la volontà di sospendere i fondi, gli aiuti finanziari o gli investimenti ai Paesi dove le unioni infantili sono ancora regolarmente celebrate, in modo da costringere questi paesi a riconoscere i diritti umani delle bambine. Sembra di essere tornati al 1899, anno di pubblicazione di The White’s Man Burden, in cui Kipling incitava gli europei a sacrificarsi per civilizzare le genti “barbare.” Oggi il fardello dell’uomo bianco pesa come un macigno sui seggi del Parlamento di Strasburgo.

Mylène Troszczynki, del Front national, sostiene fermamente che “tutto ciò sia inaccettabile per la nostra mentalità occidentale. Sono necessarie pene molto più forti, così come è necessario che chi viene in Europa si adegui alle norme.” Parole forti o forse ridicole, che stridono con gli ideali di uguaglianza e ospitalità su cui è stata fondata l’Unione Europea. Ma anche l’olandese Elissen non si distanzia molto: “Bisogna che ci sia meno Islam nei nostri Paesi.”

Anche per i più moderati, come la portoghese Rodrigues, la soluzione sarebbe quella di attuare una politica più dura, unita alla chiusura delle frontiere, degli investimenti e degli aiuti. E la violenza, aggiunge, non può essere giustificata con religione o cultura, richiamando l’art. 12 della Convenzione di Istanbul.

La proposta dell’inglese Parker agisce direttamente sulle famiglie invece che sui paesi, ma mantiene le connotazioni assurdamente identitarie: la violazione dei diritti umani dei minori comporterebbe un rifiuto permanente di accoglienza dei genitori colpevoli di questa tratta. Perché di questo si è parlato, di una moderna tratta delle schiave.