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Al Jazeera è uno dei network di informazione più grandi al mondo: chiederne la chiusura è come chiedere al Regno Unito di chiudere la BBC.

Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein hanno consegnato oggi al Qatar una lista di 13 richieste per la rimozione del blocco economico e diplomatico in cui il piccolo emirato del golfo si trova dal 5 giugno scorso.

I punti dell’ultimatum comprendono:

  • Allentare le relazioni diplomatiche e la cooperazione militare e di intelligence con l’Iran;
  • Chiudere una base militare turca in costruzione;
  • Tagliare i legami con organizzazioni definite “terroriste, settarie e ideologiche,” comprese la Fratellanza Musulmana, lo Stato Islamico, Al Qaeda, gli Hezbollah libanesi e Fateh Al-Sham (ex Fronte Al-Nusra);
  • Chiudere il network di Al Jazeera e di tutte le sue emittenti affiliate, oltre che di altre testate finanziate “direttamente o indirettamente” da Doha: Arabi21, Rassd, Al Araby Al Jadeed, Mekameleen, Middle East Eye.  
  • Smetterla con le ingerenze negli affari interni degli altri stati;
  • Pagare un risarcimento per le perdite “umane e finanziarie causate dalle politiche del Qatar negli anni recenti”;
  • Allinearsi militarmente, politicamente, socialmente e economicamente con gli altri paesi del Golfo;
  • Fornire i dati personali di tutti i membri dell’opposizione supportati dal Qatar in Arabia Saudita, EAU, Egitto e Bahrain;
  • Acconsentire a ispezioni mensili per il primo anno dopo l’accettazione degli accordi, quadrimestrali dal secondo anno, annuali per i successivi dieci anni.

L’emirato ha dieci giorni di tempo per accettare queste condizioni, pena la loro invalidità. Non è specificato come si muoveranno l’Arabia Saudita e i suoi alleati qualora il Qatar decidesse di rispedire le richieste al mittente — come sembra probabile, e comprensibile, data la loro onerosità e la palese violazione di sovranità che rappresentano. Anzi, sembrano fatte apposta per essere rifiutate.

Al momento non risultano ancora reazioni ufficiali da parte del governo dell’emirato, ma su uno dei punti ha già risposto il ministro della difesa turco Fikri Isik, dicendo che una revisione della base militare in costruzione in Qatar non è assolutamente nei piani di Ankara.

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Tra le richieste, spicca in particolare quella relativa alla chiusura di Al Jazeera, il network di informazione panarabo fondato a Doha nel 1996 per iniziativa dell’emiro Hamad bin Thamer Al Thani, membro della casa regnante. L’informazione e la propaganda giocano evidentemente un ruolo chiave nello scontro fra il Qatar e i suoi vicini regionali, al pari delle relazioni diplomatiche e militari — nello specifico, con l’Iran, indicato da tutti gli osservatori come il vero bersaglio di questa prova di forza saudita, nell’ambito di una guerra fredda tra Ryiadh e Teheran che va avanti dal 1979.

Ma la forza mediatica del piccolo emirato preoccupa da tempo l’asse saudita, e non solo.

Nata come canale televisivo satellitare all-news, per i primi tre anni soltanto con 6 ore di programmazione quotidiana, il successo di Al Jazeera è frutto di una grande lungimiranza editoriale. Nel 1991 la CNN aveva mostrato a tutto il mondo le potenzialità di una copertura giornalistica 24 ore su 24, raccontando per la prima volta una guerra in presa diretta — l’operazione Desert Storm contro l’Iraq in Kuwait.

Lo sceicco Al Thani ha saputo cogliere questa rivoluzione mediatica prima ancora della maggior parte dei paesi occidentali — il canale all-news della BBC ha cominciato a trasmettere un anno dopo, nel 1997, il nostrano Rai News 24 soltanto nel 1999. Il primo gennaio dello stesso anno, anche Al Jazeera inaugurava la propria programmazione h24.

Da sempre modellata sugli schemi televisivi occidentali (nello specifico, statunitensi) ma senza rinunciare al proprio orgoglio “panarabo” — a partire dal motto, “l’opinione e l’altra opinione” — Al Jazeera ha guadagnato notorietà in Occidente per la prima volta dopo il 2001. Durante l’invasione NATO dell’Afghanistan era l’unica televisione con una redazione operativa a Kabul — per questo gli Stati Uniti hanno pensato bene di bombardare i suoi uffici nella capitale afghana, prima, e a Baghdad due anni più tardi.

L’accusa di fare da megafono al terrorismo internazionale perseguita Al Jazeera da allora, dovuta innanzitutto alla scelta di trasmettere in esclusiva i famosi video-messaggi di Osama bin Laden. Ma l’emittente è sempre stata poco gradita a tutte le censure governative della regione: nel 2002 fu addirittura accusata dal Bahrein di essere “al servizio del sionismo.”

Particolarmente dura è stata la repressione in Egitto, dove gli uffici dell’emittente sono stati ripetutamente chiusi a partire dal 2011, quando Al Jazeera diede ampio spazio alle proteste che hanno portato alla caduta del regime di Mubarak. Giusto ieri, il governo egiziano ha deciso di estendere per altri 45 giorni la prigionia del reporter Mahmoud Hussein, detenuto da più di sei mesi con l’accusa di aver “diffuso notizie false e ricevuto fondi da autorità straniere per diffamare la reputazione dello stato.”

Nonostante il controllo statale (e quindi familiare) qatariota, Al Jazeera si è sempre distinta per indipendenza — a dimostrarlo è la stessa copertura della crisi diplomatica dell’ultimo mese, trattata dal sito in lingua inglese come se fosse una qualsiasi altra notizia internazionale di primo piano, e non un gioco pericoloso da cui dipende la sua stessa sopravvivenza.

Al Jazeera ha il merito innegabile di aver scosso il panorama dell’informazione in Medio Oriente — prima dominato quasi unicamente da televisioni di stato strettamente controllate dalla censura — e di aver fornito a un mondo cronicamente sotto–rappresentato una voce capace di competere con i maggiori colossi dell’informazione occidentali.

Oggi Al Jazeera è uno dei network di informazione più grandi del mondo, con canali televisivi in cinque lingue e una notevole presenza online, grazie anche al nuovo canale AJ+, specializzato in brevi contenuti video virali di grande successo sui social network. Chiedere a Doha di chiudere Al Jazeera è come chiedere al Regno Unito di chiudere la BBC (come ha notato Giles Trendle, direttore editoriale di Al Jazeera English), e il danno che ne deriverebbe per la pluralità e la libertà dell’informazione in tutto il mondo è lo stesso, se non maggiore.

La richiesta è stata commentata con preoccupazione da Reporter Senza Frontiere, mentre due giorni fa è sceso a difesa del competitor arabo anche il New York Times, in un bell’esempio di solidarietà giornalistica che dovrebbe ripetersi più spesso. Scrive lo staff editoriale del NYT:

“Sarebbe difficile definire Al Jazeera un’organizzazione giornalistica perfetta: report critici sul Qatar o sui membri della famiglia reale del Qatar non sono tollerati. Ma la maggior parte del resto della sua produzione è modellata sugli standard giornalistici internazionali, offre un punto di vista unico sugli eventi del Medio Oriente ed è una fonte di informazione vitale per milioni di persone che vivono sotto regimi anti-democratici. Queste ragioni sono abbastanza per spingere i monarchi e dittatori che attaccano il Qatar a silenziare Al Jazeera. E sono abbastanza per condannare la loro azione.”


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