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Benvenuti a Eco 

la rassegna stampa quindicinale dedicata a energia, ambiente, ecologia e sostenibilità.

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In questa puntata: c’è troppo traffico nello Houston Ship Channel, troppe persone in India senza accesso all’elettricità, e troppa plastica lungo le coste dei continenti.

1. Bollino nero allo Houston Ship Channel

Continua la graduale transizione energetica mondiale in favore del gas naturale e iniziano i problemi logistici; a Houston ne sanno qualcosa. Qui si trova lo Houston Ship Channel, che collega il porto della città―tra i più affollati degli Stati Uniti―al Golfo del Messico, attraversato da migliaia di petroliere e metaniere ogni anno. Da quando gli USA sono diventati esportatori netti di gas naturale, la situazione del traffico portuale a Houston ha iniziato a farsi mano a mano più difficile, con il numero di navi che attraversano il canale, già in aumento da anni, che non accenna a diminuire. Alcune compagnie petrolifere hanno iniziato a guardare altrove, in cerca di altri terminal meno affollati, altre paiono intenzionate a restare. La possibilità di scelta resta comunque limitata, considerando che l’industria dell’oil&gas è fortemente radicata nell’area del Golfo, e numerosi oleodotti e gasdotti convergono nella zona―per non tralasciare i piani di investimento in nuove infrastrutture, che solamente due anni fa ammontavano a 35 miliardi di dollari.

2. In India c’è una Spagna senza elettricità

Sono ancora 45 milioni le persone che vivono in aree scollegate dalla rete elettrica nazionale in India, tante quante abitano nell’intera Spagna. Durante la campagna elettorale del 2014, il primo ministro Modi aveva promesso che nel 2019 sarebbe riuscito ad allacciare alla rete tutta la popolazione indiana, ma ad un anno e mezzo da questa scadenza si contano ancora 18.452 villaggi privi di luce. Il cash ban in vigore dal 1 gennaio per contrastare la corruzione e la cattiva condizione in cui versano gli istituti finanziari indiani non ha aiutato, rallentando l’economia del secondo Paese più popoloso del Mondo, che proprio a gennaio è cresciuto “solo” del 6,1%―il ritmo più basso da due anni a questa parte―e indebolendo le compagnie statali di distribuzione, che sono tuttora riluttanti ad acquistare energia elettrica.

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3. L’energia c’entra, sempre

Il 5 giugno vari paesi arabi―Bahrain, Egitto ed Emirati Arabi―capeggiati dall’Arabia Saudita, prima tra le potenze regionali dell’area, hanno interrotto le relazioni diplomatiche con il Qatar, accusato, tra le altre cose, di “sostenere il terrorismo”―qua un articolo di approfondimento. Come spesso accade per le dispute politiche nella zona della penisola araba, un ruolo importante è giocato dall’aspetto energetico. Il Qatar è un importante esportatore di gas naturale―il primo per quanto riguarda l’LNG―e gestisce il North Dome, il principale giacimento di gas sottomarino mondiale. Ma, sì, c’è un ma: il North Dome è gestito dal Qatar assieme a un altro paese, l’Iran, ovvero il principale avversario dei Sauditi. Anche per questo motivo, dunque, i Sauditi hanno interesse a mettere sotto pressione la monarchia qatariota.

4. Asia e rinnovabili a braccetto

Il carbone, seppur sempre meno, è ancora piuttosto utilizzato come fonte energetica, soprattutto in Asia. Il suo grande pregio resta uno in particolare: costa poco. Eppure l’assalto delle rinnovabili è iniziato anche ad Oriente e, sebbene nel breve-medio periodo la domanda di carbone sembri destinata ad aumentare, sul lungo periodo ci sono ben meno certezze. Clyde Russel, columnist per Reuters, ha scritto un articolo in cui illustra efficacemente la situazione, spiegando che i produttori di carbone non hanno ancora realizzato la notevole possibilità che molti paesi nei prossimi decenni si troveranno davanti, ovvero quella di sfruttare energia pulita ed economica allo stesso tempo. Considerando, infine, i cambiamenti di equilibrio sul fronte dei paesi impegnati nella lotta al cambiamento climatico―con la Cina che non ha esitato ad assumere un ruolo di leadership, dopo l’abbandono degli USA degli accordi di Parigi―la svolta verde, motivata quasi esclusivamente da vantaggi economici, potrebbe investire l’Asia prima del previsto.

5. Studi sul cambiamento climatico, impediti dal cambiamento climatico :(

Ѐ triste, ma è così. Un team dell’Università di Manitoba, in Canada, ha dovuto cancellare temporaneamente un progetto di ricerca quadriennale sugli effetti del cambiamento climatico nella Baia di Hudson, poiché le acque in cui avvenivano gli studi sono state rese pericolose dalla presenza di iceberg. Da dove provenivano gli enormi blocchi di ghiaccio? Secondo le analisi condotte dallo stesso gruppo di ricerca, dall’Artico―esatto, tutto quel ghiaccio non si sarebbe dovuto trovare così a Sud. Il progetto è stato, quindi, posticipato all’anno prossimo.

6. #MapOfTheWeek

Quanta plastica c’è lungo le coste dei continenti? Troppa, in particolare proveniente dai fiumi―in Asia, nello specifico, la situazione è critica. Qua la mappa della settimana che ve lo dimostra.

 


Eco è a cura di Giovanni Scomparin, Nicolò Florenzio e Tommaso Sansone.

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