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“Rokovoko è un’isola lontanissima a sud-ovest. Non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai.” 

— Herman Melville, Moby Dick

Il debunking non è una innovazione recente nell’ambito del giornalismo — e non lo sono le “bufale,” espressione che viene completata spesso con “sul web,” ma che, in realtà, è appunto vecchia quanto il debunking.

Quest’estate è stata diversa però: per la prima volta i meccanismi di diffusione social — ovvero, algoritmici, ovvero, dettati da un’autorità, seppur non direttamente umana — hanno raggiunto quella massa critica che in una disgraziata coincidenza di modelli elettorali ha contribuito all’elezione del presidente degli Stati Uniti.

Da allora l’espressione “fake news” è un po’ sulla bocca di tutti — con grande compiacenza: da Trump stesso, che può bollare alcuni dei quotidiani più rinomati al mondo come “the fake media,” ai governi autoritari del sudest asiatico.

La lotta alle “fake news” è diventata anche parte integrante della nuova piattaforma di Matteo Renzi, che usa l’espressione regolarmente parlando delle notizie pubblicate dalla macchina di viralità grillina.

In questo contesto, la vicenda del fantomatico gioco del suicidio Blue Whale è il perfetto esempio dello scontro definitivo tra realtà e menzogna. Annunciato la prima volta su una testata russa, la rinomata Novaya Gazeta, che pubblica solo in lingua, ripresa in un primo tempo solo da riviste gossippare o di bassa qualità, chi su internet ci passa tanto tempo aveva bollato il gioco come una fake news prima ancora che in Italia scoppiasse il caso.

Ma non si può considerare il gioco una fake news, perché non ha una materialità, non è in nessun modo circostanziato, non ha insomma nessuna fisicità nel mondo reale.

Potrebbe un’indagine altamente invasiva svolta con sistemi di spionaggio individuare se i primi giovani suicidi fossero causati effettivamente da un gioco, o semplicemente da ripetuti abusi da parte di veri e propri mostri online? Certamente.

Ma non è questo il punto.

Il gioco è vero: perché è stato inventato. Le morti, causate in gruppi “della morte” e suicide apartment, sono vere. Viene prima la leggenda, o la verità? Non è importante. Non stiamo parlando di un caso di corruzione, o di un singolo crimine circostanziato. Esiste un legame? Si tratta di manifestazioni dello stesso malessere: qual è la differenza se un giovane si toglie la vita arrivato alla cinquantesima giornata di sfida, o se si toglie la vita dopo un processo di fascinazione iniziatico attuato attraverso a Blue Whale come concetto stesso?

Il gioco non sono le sfide: il gioco è un processo iniziatico.

Questo è il caso specifico dove tanti dei reportage sul caso mancano il colpo — è difficile, se non impossibile, scoprire se una singola persona sia morta seguendo le regole che abbiamo pubblicato due settimane fa. Sarebbe necessaria un’invasione totale dei mezzi di comunicazione della vittima — un’operazione che ha certamente una valenza per la giustizia, ma che esce completamente al di fuori del contesto dell’informazione.

I giovani morti annunciati da Novaya Gazeta sono drammaticamente veri, così come quelli della cronaca italiana di questi giorni.

Quanto ha di vero Blue Whale? Proviamo a svolgere una breve ricostruzione ragionata:

  • Cercare una data di inizio, per i meccanismi e le idee diffuse su internet è un’attitudine fallace: Blue Whale quasi certamente non ha un giorno di inizio — è altamente più probabile si sia sviluppato come un meme, gradualmente, arricchendosi di dettagli mentre si diffondeva.
  • Allo stesso modo, se a livello penale, per i singoli casi, si dovranno cercare dei colpevoli, sarà probabilmente impossibile ricondurre il gioco a un inventore.
  • Questo, sia chiaro, non è per mancanza di informazioni: è semplicemente come si sviluppano le idee su internet oggi.
  • Cos’è successo: il graduale, inesorabile, percorso di mainstreaming di tante idee di internet è arrivato negli ultimi due anni a rendere nuovamente popolare gli aspetti più edgy della cultura hacker dei primi anni dell’informatica. Questa diffusione non è inerentemente negativa, anzi, ha permesso di portare a molte persone argomenti che magari avrebbero dovuto affrontare da sole.
  • Esattamente come un meme, che si fa più popolare, variegato e internazionale, Blue Whale vive quasi come ente. È un’idea comunitaria, e sia chiaro — non può essere contenuta e sconfitta in nessun modo.

Quello che mancava alle realtà pro choice, o peggio, dedicate esclusivamente all’adescamento al suicidio era un brand: una piattaforma virale capace di “bucare” oltre la nicchia di chi è già predisposto a tendenze suicide verso il grande pubblico. Ora ce l’hanno.


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Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.