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A Helsingborg, nel Sud della Svezia, sarà inaugurato il prossimo 7 giugno un Museo del Fallimento, che raccoglierà alcune delle più curiose — e fallimentari — innovazioni commerciali degli ultimi decenni.

Il museo nasce dalla collezione personale di Samuel West, uno psicologo dell’organizzazione appassionato di questo genere di cimeli post-industriali. Ne ha raccolti oltre sessanta, con uno scopo innanzitutto educativo: “la maggioranza dei progetti innovativi fallisce, e il museo mette in mostra questi fallimenti per offrire al visitatore un’affascinante esperienza di apprendimento,” si legge sul sito ufficiale.

“Ogni oggetto offre uno sguardo approfondito nel rischioso business dell’innovazione”

Alcuni degli oggetti esposti sono esperimenti commerciali giustamente dimenticati dalla storia, come le lasagne al ragù surgelate prodotte dalla Colgate negli anni Ottanta — attenzione, non un dentifricio al gusto di lasagna, che certamente sarebbe stato un successo planetario, ma una lasagna vera e propria, più o meno. O, tra i più recenti, il Twitter Peek, un dispositivo simile a un Blackberry, ma pensato unicamente per twittare, lanciato nel 2009 con una scarsità di lungimiranza incredibile.

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Perché no

In altri casi, invece, si tratta di epici tentativi di innovazione, probabilmente troppo avanti per qualsiasi tempo, come il mitico Nokia N’Gage, iper-reclamizzato e fighissimo per chi aveva tra i 12 e i 14 anni nel 2003 — ma che, a riguardarlo ora, sembra un Nokia 3310 sotto acidi. O, ancora, veri e propri simboli di un’epoca, ma vittime di incapacità di adattamento, come il compianto DVD a noleggio di Blockbuster.

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Non mancano prodotti che, soltanto pochi anni fa, sembravano destinati a rivoluzionare il mondo delle comunicazioni e a invadere il mercato, diventando indispensabili come sono indispensabili oggi gli smartphone — qualcuno ha detto Google Glass?

Ma il successo e il fallimento, in un mondo ancora in piena rivoluzione tecnologica, prendono strade imprevedibili e non lineari. I palmari hanno fallito, ma i tablet hanno vinto (forse). Così, i Google Glass sono stati rimessi nel cassetto, ma magari a quelli di Snapchat toccherà una sorte migliore.

Allo stesso modo, ci si potrebbe aspettare un ritorno di fiamma di popolarità per TRUMP, the game, il monopoli di Donald Trump lanciato per la prima volta nel 1989 e incluso da Time, nel 2011, nella top ten dei fallimenti del miliardario bancarottiere, insieme alla Trump Vodka e a Trump Magazine; mentre la scelta di includere nella collezione anche il Segway è quantomeno opinabile.

Insomma, per quando lodevole sia la raccolta di mirabilia di Samuel West, il limite principale del Museo del Fallimento sarà sempre l’inevitabile incapacità di tenere il passo con le invenzioni futili, stupide, offensive, che l’umanità produce in continuazione. Il profumo di Harley-Davidson lanciato nel 1996 non è meno un flop della candela che profuma come un MacBook appena tirato fuori dalla confezione. Per non parlare delle app, sfortunatamente (o no) prive di esistenza tangibile, e quindi difficili da musealizzare.

L’intento di West, ad ogni modo, non è quello di deridere il fallimento di buffe invenzioni del passato — come sarebbe fin troppo facile fare — ma, al contrario, stimolare una maggiore accettazione del fallimento in una società abituata a condannarlo senza appello. Senza una lunga lista di fallimenti, infatti, non sarebbe possibile nessun tipo di progresso: per questo, è necessaria un’atmosfera di “sicurezza psicologica,” in cui sia concesso sbagliare in tutta libertà — una lezione importante non soltanto per il mondo imprenditoriale.

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