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In Legion l’inaffidabilità del protagonista è il vero perno narrativo, e costruisce un mondo esteticamente confuso – i cui echi rimbalzano tra passato e futuro.

Che cosa caratterizza una buona serie tv? L’approfondimento caratteriale dei personaggi? La credibilità del mondo in cui essi si muovono? La serialità dominata dalla narrazione? O forse tutti questi elementi messi insieme? È difficile dirlo in un’epoca in cui centinaia e centinaia di sceneggiati sono adattati per il piccolo schermo ogni anno, rendendo letteralmente impossibile la completa digestione di questo pasto televisivo. La differenza dunque tra mediocrità e successo la fa l’impronta autoriale.

Una serie tv per accedere al consenso di pubblico e critica non deve essere necessariamente girata da un autore affermato, ma deve certamente essere prodotta da una gruppo di persone con una visione. Per intenderci Vince Gilligan era Vince Gilligan ben prima di girare Breaking Bad, ma ciò che ha distinto il suo lavoro è stata la capacità di tradurre la sua visione nel racconto televisivo, differenziandosi da molti altri prodotti e creando uno stile inimitabile. L’idea non è niente senza una visione e viceversa. Come una volta ha affermato l’autore inglese Stephen Fry: “A true thing, poorly expressed, is a lie” (Una cosa vera, espressa in maniera povera, diventa falsa).

C’è dunque bisogno di idee applicate a una visione per rendere una serie tv un prodotto veritiero, eticamente ed esteticamente, che non inganni i propri spettatori. Lasciamo che siate voi a decidere se ciò che avete divorato finora vi abbia mentito o se invece sia stato rispettoso nei vostri confronti. Per ora ci concentreremo su un caso particolare andato in onda da poco con le sue prime puntate: Legion, una serie tv che pur mentendo, narrativamente, ai suoi spettatori mantiene intatto il suo punto di vista autoriale.

Dico che sono sano, ma pensano sia pazzo…
“Dicono che sono sano, ma pensano sia pazzo…”

Il protagonista della serie tv è David Haller, un giovane trentenne tormentato da disturbi di natura psichica, che gli rendono difficile il contatto con la realtà e che lo costringono ad essere recluso in un istituto psichiatrico. È in questo contesto che facciamo subito la sua conoscenza come protagonista e, poco dopo, come narratore della storia. Non ci vuole molto però a capire un ulteriore dettaglio chiave: David è un narratore inaffidabile.

Nel 1961 il critico letterario Wayne C. Booth conia all’interno del suo manuale The Rhetoric of Fiction il termine unreliable narrator, narratore inaffidabile, per descrivere “un narratore che parla o agisce in disaccordo con le norme dell’autore.” La definizione è stata poi ampliata negli anni da vari studiosi, tra cui la più adatta per il caso di Legion è quella di Ansgar Nünning che amplia l’inaffidabilità del narratore alla “distanza che separa la sua visione del mondo rispetto agli standard di normalità dello spettatore.”

L’uso di questo accattivante stratagemma narrativo è stato vario e multimediale. Uno dei primi esempi è stato individuato nel Miles Gloriosus di Plauto, ma alcune tracce si possono trovare anche nei racconti di Le Mille e una Notte — col tempo la tecnica è passata dai classici dell’antichità ai romanzi del Novecento, arrivando infine su pellicola e televisione.

La mia malattia non c'entra niente. Non me la sono inventata.
“La mia malattia non c’entra niente. Non me la sono inventata.”

Legion manifesta subito la volontà di utilizzare l’inaffidabilità del suo protagonista, e con essa l’incertezza cronologica e scenografica dell’intera serie, come perno narrativo. È proprio Noah Hawley, showrunner della serie, ad ammetterlo in un’intervista: “Quando si ha a che fare con una storia in cui è possibile confondere ciò che è reale con ciò che non lo è, bisogna trovare qualcosa alla radice che faccia dire non mi importa cosa è reale e cosa no basta che questo sia vero”. Dunque, per riprendere la definizione di Nünning, qualcosa che possa mettere in prospettiva la nostra visione e quella del protagonista — in questo caso, senza spoilerare troppo, la storia d’amore tra David e una giovane paziente dell’istituto psichiatrico.

Hawley costruisce un mondo esteticamente confuso – i cui echi rimbalzano tra passato e futuro – nel quale inserisce personaggi altrettanto confusi e confusionari. Lo fa però con idee ben precise su come il percorso verso la verità deve passare, per narratore e spettatore, proprio dalla bugia inconsapevole.

La narrazione inaffidabile di Legion sembra ancora più affine alla nostra realtà se collocata nel contesto quotidiano delle fake news e del costante ribaltamento della realtà da parte dell’establishment. Certo il parallelismo può sembrare forzato, o più semplicemente i confini della nostra realtà si stanno confondendo sempre di più con quelli della fiction.