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Domani a Davos, in Svizzera, incominceranno i lavori per l’annuale World Economic Forum. Si tratta del più importante (e pubblicizzato) meeting del mondo, durante il quale i leader dell’economia e della politica mondiale si confrontano su una vasta gamma di argomenti.

Negli ultimi anni i temi più caldi sono stati i flussi migratori, la cybersecurity, il cambiamento climatico e la cura del cancro, solo per citarne alcuni.

Quella di quest’anno però sarà un’edizione controversa, dove il ridimensionamento delle economie occidentali potrebbe essere decretato ufficialmente. Il 2016 è stato un anno difficile per i concetti di neoliberismo e globalizzazione, messi per la prima volta seriamente in difficoltà. L’anno scorso, proprio durante il WEC, Kenneth Rogoff, ex chief economist del FMI, era certo che Donald Trump non sarebbe mai diventato presidente. David Cameron, in piena campagna per il Remain, presenziò e ricevette il sostegno di tutti. I “Panama Papers” dovevano ancora essere pubblicati, Renzi non era ancora stato sconfitto al Referendum costituzionale, e gli attentati terroristici in Germania e Francia non avevano ancora dato l’enorme risonanza che hanno oggi, a ridosso delle elezioni, ai partiti di estrema destra in quei Paesi.

Tutto questo ha messo in discussione (per usare un eufemismo) la visione del mondo degli habitué del World Economic Forum, che da quattro decenni professano una dottrina di mercato aperto e di piena globalizzazione senza chiedersi se questa ricetta avvantaggi proprio tutti o solo qualcuno. È per questo motivo, per esempio, che il presidente eletto Trump ha deciso di non inviare nessuno dei suoi rappresentanti al meeting. Proprio per ribadire che le forze del cosiddetto “populismo” trovano terreno fertile nel rigetto totale di queste ideologie. In realtà Anthony Scaramucci, membro del suo transition team, ci sarà (come ogni anno), ma la portavoce del prossimo gabinetto di Washington ha chiarito che sarà presente in veste non ufficiale. Non parteciperà infatti alla conferenza “The Great American Divide”, sponsorizzata dal Time (che non a caso ha eletto Trump uomo dell’anno 2016).

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Un altro fattore d’eccezione dell’edizione 2017 sarà la prima presenza assoluta del Presidente della Repubblica Popolare Cinese. Xi Jinping sarà l’ospite d’onore dell’inaugurazione plenaria dell’evento, e il suo roster di economisti terrà poco dopo una conferenza intitolata “China’s pivot to World Market” dove si parlerà del prossimo sorpasso ai danni degli USA negli investimenti esteri. Jack Ma, CEO e founder di Alibaba, verrà intervistato sul futuro dell’online retail. Ma il massimo dell’assurdo si verrà a toccare mercoledì alle 15, quando è in programma “China’s role in global prosperity,” dove ci si chiederà se sarà proprio il Paese comunista a rilanciare il mercato globale. Il fatto che con “global prosperity” si intenda “globalizzazione”, segnala come gli addetti ai lavori non ci abbiano ancora capito nulla.

Scorrendo i titoli delle altre conferenze che andranno in scena a Davos, ci si riesce a rendere conto di come l’elite partecipante non riesca a capacitarsi della situazione. In “Squeezed and Angry: How to fix the middle class crisis”, Christine Lagarde, direttrice operativa dell’FMI, ovvero il simbolo dell’ordine liberista, analizzerà con un anno di ritardo le cause dell’ascesa del populismo (anche Pier Carlo Padoan sarà interpellato); con “Is the Transatlantic Alliance at a Tipping Point?” e “Protectionism: back to the future?” il forum sembra chiedersi con ansia “niente più mercato aperto? Davvero?”. Sembra proprio difficile rendersi conto di aver sbagliato qualcosa.

Inoltre, più che agli USA e alla Cina, e decisamente più che all’India, alla Russia e agli stati Africani, viene dedicata una particolare attenzione all’Europa, sarà forse perché l’Ue è il più grande mercato aperto del Mondo?

Sono sei i panel a tema europeo che sono stati organizzati, e non possono fare altro che porre tutti la stessa domanda. Resisterà l’Europa al 2017?

Tra tutti, “Fixing Europe Disunion” sarà l’appuntamento principale. In scena lo scontro di idee tra Pierre Moscovici, Commissario Europeo degli Affari Economici e Monetari, e Joseph Stiglitz, economista premio Nobel da sempre scettico rispetto all’Unione Europea (sarà ospite anche Emma Marcegaglia).

Visto da fuori (e soprattutto prima che inizi) questo World Economic Forum, nonostante tratti temi globali e geograficamente differenziati, sembra dedicarsi con troppo fervore alle questioni che stanno dando problemi al liberismo in Occidente. Senza snobbare ma non interessandosi fino in fondo delle altre realtà economiche mondiali, dato che oltre alla Cina, le conferenze riguardanti l’India, l’Africa e soprattutto la Russia, grande protagonista del 2016, sono in tutto tre.

Dato che per chiedersi quali sono le cause della crisi del liberismo è troppo tardi, dato che si sono mostrate da sole, rimane da chiedersi: riusciranno i partecipanti al forum a capire quali sono i modelli per il futuro? E soprattutto, saranno questi inclusivi per ognuno?