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Un po’ come il film di spionaggio che piú o meno consapevolmente ha finito per fare, Oliver Stone si è imbarcato con Snowden in una missione impossibile: rendere emozionante, da cardiopalma, e romantica una storia che è solo brutta, in tutte le sue sfaccettature. Per valutare il film di Stone è importante tenere conto di due limitazioni che lo conducono come binari: le difficoltà di raccontare una storia che è avvenuta interamente davanti a computer brutti in stanze male illuminate, e l’esistenza di un altro gran bel film sull’argomento — Citizenfour di Laura Poitras, con il miglior Ed Snowden mai apparso sugli schermi: Edward Snowden.

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Abbiamo visto Snowden in anteprima grazie alla proiezione organizzata da F-Secure per promuovere il proprio pacchetto di sicurezza Total Security & Privacy, che offre in unica soluzione anti-virus e accesso ad una VPN anonima.

Abbiamo parlato con Paolo Palumbo, Senior Researcher nei laboratori di Helsinki di F-Secure.


Grazie per il tempo che ci concede prima della proiezione. Dal 2013 ad oggi, grazie prima a Snowden e poi ad altri leak, siamo venuti a conoscenza delle pratiche invasive delle intelligence statunitense e britannica, e recentemente di quella tedesca. In Italia il problema è stato affrontato tangenzialmente — non sappiamo cosa faccia la nostra intelligence, e lo scandalo ha assunto un ulteriore livello di astrazione: non solo possiamo poco per proteggerci dall’invasione della privacy, ma non abbiamo nemmeno strumenti politici per cambiare le cose.

Dopo Snowden c’è stato uno shock globale. Mi piace paragonarlo alla pillola rossa di Matrix: siamo andati giù e abbiamo scoperto che la realtà è ben piú brutta di quello che si credeva. Da lì è iniziata una escalation di rivelazioni, anche in seguito ad altri leak che ufficialmente non hanno niente a che fare con Snowden che hanno messo in luce cose impensabili ai tempi, ma al contempo, quando si è così bombardati da notizie di questo genere, si finisce inevitabilmente per essere desensibilizzati. Credo sia successo a molti di noi, ormai abituati a convivere con la situazione. Ed è così in Italia come negli Stati Uniti, le operazioni sono invisibili, non si ha nessun modo di sapere se si è effettivamente controllati, e in che modo. L’unico modo è considerare quante informazioni si caricano online, e se valgono il rischio — ad esempio, serve davvero avere Facebook? Io non ho Facebook. Sarà anche fatto alla buona, ma è un processo di risk management, valutare la differenza tra avere esposte le proprie foto sexy o l’essere andati in vacanza giù in Puglia.

Poi, prendiamo per esempio un signor Rossi, che fa da contabile per un’azienda del milanese: l’impatto sulla vita quotidiana del signor Rossi delle rivelazioni di Snowden è molto limitato. Al contrario ci sono altre minacce che sono molto piú reali per lui, che magari sono meno avanzate dei toolkit dell’Equation Group, e quindi sono finite sotto la nostra soglia di attenzione, ma sono pericoli quotidiani molto più veri che finire nella rete di qualche indagine dell’intelligence americana.

Quello che mi piacerebbe è vedere piú scelte consce — prendere decisioni su cosa si carica online sapendo a che rischi si va incontro, sia nella quotidianità di cose come l’home banking.

Certo. Ma a questo proposito, quali sono le responsabilità degli Stati, che impiegano oggi i migliori cracker del mondo — o per lo meno la retorica da gioco di spie vuole così — nel rendere pubblici i loro exploit, o per lo meno nel notificare le aziende che producono gli strumenti violati?

La questione io la osserverei da un punto di vista non strettamente tecnico. Questi stati sono alla ricerca di un vantaggio competitivo, in un mondo in cui l’informazione è potere. Questi exploit, che permettano di eseguire codice o elevare privilegi, sono armi potenti per entrare in posti dove altrimenti l’accesso non sarebbe garantito.

Come in passato gli ambienti militari erano quelli che cercavano di sviluppare nuove tecnologie per cercare di garantirsi un vantaggio sul campo di battaglia, oggi vediamo l’equivalente con il mondo del cyber.

Chiaramente questo comporta delle ripercussioni — ma a onor del vero questi segreti sono gestiti abbastanza bene. Abbiamo visto però quando sono stati attaccati a Hacking Team, ed è stato un vero disastro, con il loro toolkit parzialmente esposto.

Certo, non rendendo pubbliche le falle — almeno agli autori del software, gli utenti in generale sono piú a rischio: ma non credo ci sia un interesse preciso.

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Il mondo intero come campo di battaglia emerge anche nel film di Oliver Stone, nelle parole messe in bocca alla figura di magister, poi in qualche modo di antagonista, di Corbin O’Brian (Rhys Ifans) — queste sono le guerre del futuro, con una importante differenza: ogni Paese le combatte anche contro i propri cittadini, con una diffidenza maniacale ma programmatica per cui chiunque si informi su argomenti delicati è un sospetto. Di conseguenza, si indaga a fini ricattatori invece che per provare intento malevolo.

Tutto questo nel film è spiegato in un paio di sequenze in CGI, in maniera molto raffazzonata. Ma va bene così, non è il lavoro di questo film spiegare queste storie.

Ma se finire nella maglia algoritmica della sorveglianza di massa può non causare nessun fastidio per un cittadino “comune,” il potenziale ricattatorio per soggetti nel mirino dell’intelligence è pressoché infinito, e indubitabilmente l’attività dell’intelligence rende il mondo un posto meno sicuro, perché sono meno sicuri gli strumenti che usiamo tutto il giorno, tutti i giorni, fragili di fronte agli attacchi di stati e terze parti.

Sono rischi con cui dobbiamo imparare a convivere, che non vuole dire accettare la sorveglianza di massa, ma imparare a comportarsi in modo di minimizzarne i pericoli per noi e i nostri cari.


E questo rischio, come dicevamo prima: come si gestisce? Quale può essere un “prontuario” del cittadino per la privacy e la sicurezza?

In generale, l’importante è agire responsabilmente. Sicuramente affidarsi a piattaforme software sicure: ci sono dispositivi mobili che sono piú sicuri di altri, perché sono gestiti correttamente dalle case produttrici, e ricevono aggiornamenti e aggiornamenti di sicurezza. Oggi il telefono è uno degli oggetti piú importanti della propria vita, per cui si tratta di una scelta che è fondamentale fare responsabilmente. È importante anche avere un computer aggiornato, e non essere su Windows XP. Ma davvero, la cosa importante è ragionare bene su come ci si comporta online. Una persona può avere necessità particolari, o gusti particolari, che a noi non debbono interessare, ma se una persona vuole cercare siti per adulti con contenuti particolari — ma legali! — è importante che lo faccia con discrezione, magari non mentre è loggato dentro Facebook. Se si fa home banking, è importante controllare di aver raggiunto il sito giusto, controllare il certificato premendo il tasto verde che ormai è presente in tutti i browser.

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Sono tanti i difetti che si possono trovare nel film — che inizia col piede sbagliato, con una scena in cui Snowden, appena arrivato all’accademia della CIA, batte tutti nel creare un hack: in un montage con tanti nerd chini sulla tastiera che digitano a tempo di musica EDM in colonna sonora, neanche stessimo guardando NCIS.

Col proseguire della proiezione, le frustrazioni sono state piú d’una — l’abuso della relazione con Lindsay Mills (Shailene Woodley) come strumento narrativo per esporre l’evoluzione ideologica di Snowden, tutti i set dell’intelligence, davvero presi di peso dai telefilm di genere, la resa caricaturale di Poitras e Greenwald, l’esasperazione di alcuni topoi nerd per inquadrare Snowden in un “personaggio:” l’insistenza simbolica sul cubo di Rubik, l’intera sottotrama sulla sua salute — non approfondiamo per evitare spoiler.

Durante gli ultimi minuti del film, un artificio di montaggio particolarmente ben riuscito offre la chiave di volta per rivalutarlo. Non ci si può aspettare da Snowden un’analisi giornalistica della vicenda — quel film è già stato fatto, impeccabilmente — e non si può nemmeno pretendere una seria de-costruzione psicologica di Snowden persona — non siamo di fronte ad un altro Nixon (1995).

Per Stone Snowden è prima di tutto un pamphlet politico, uno strumento di divulgazione.

Esaminato sotto questa lente, il film assume un valore completamente diverso — non rischia e non innova, non mette in difficoltà lo spettatore e mai lo sovrasta. Snowden è un film didattico, e questa è la sua unica priorità, anche a costo di sembrare il pilota di una (bella) serie tv: essere un bel pacchetto infiocchettato, capace di intrattenere senza sosta per due ore piene, spiegando al pubblico — entrato per vedere una spy story con Joseph Gordon-Levitt — perché devono tenere a cuore il sacrificio di Edward Snowden, e perché devono tenere a mente che tutti siamo sorvegliati, anche in questo momento, mentre state leggendo questo articolo — e non perché questo sia un articolo pericoloso, o questo un sito internet pericoloso: perché siete sorvegliati sempre.

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.