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Il viaggio dei migranti inizia con la preparazione, nel paese di origine.

Ci sono due tipi di viaggi: il primo è quello della presa di decisione individuale, per cui un singolo parte in cerca di un futuro migliore; il secondo è quello che inizia per scelta di una intera famiglia che individua il più adatto a compiere il viaggio, per poi rincongiungervisi.

Solitamente a partire sono i più forti, quelli che riescono a sopravvivere nelle condizioni più difficili.

La maggior parte delle persone che sbarcano in Italia in questo momento proviene dall’Africa subsahariana, soprattutto dal Corno d’Africa. Poi in quantità minori arrivano anche siriani, afghani e pakistani. Una volta raggiunte le coste di Libia ed Egitto, i migranti si rivolgono ai trafficanti. Per ingenti cifre di denaro che superano i mille euro, si aggiudicano un posto sui barconi di fortuna che attraversano il Mediterraneo.

Questi non sono più adatti alla navigazione perché considerati troppo pericolosi. Spesso vengono venduti dalla criminalità organizzata ai trafficanti nordafricani. A seconda delle proprie possibilità economiche e del colore della pelle i migranti vengono posizionati in diversi livelli del barcone.

Più in basso, nella zona dei motori, viaggia chi ha meno soldi — solitamente chi proviene dall’Africa subsahariana. Fare la traversata in quella che viene chiamata la “terza classe” comporta i rischi maggiori: si è stipati in uno spazio strettissimo, dove circola poca aria, a causa dei portelloni chiusi per evitare che chi sta più in basso salga verso le classi più costose.

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Una missione di soccorso dell’operazione Triton nel 2015

In questa zona nei barconi si trovano i motori. Per fare tutta la traversata è necessario rimboccare di benzina i serbatoi, e spesso questa fuoriesce, unendosi all’acqua che entra nel barcone per l’eccessivo sovraccarico. Le sostanze chimiche presenti nella benzina si diffondono insieme all’acqua e causano ustioni gravissime sulla pelle dei profughi, a volte mortali.

Chi si trova in “terza classe” è chi di solito non ce la fa ad arrivare.

Nella “seconda classe” viaggia chi ha più soldi, ma non così tanti da viaggiare in coperta. Anche questa zona è chiusa con un portellone che la divide dalla “prima classe” e anche qui i rischi sono molti a causa della quantità di persone e della mancanza di aria.

In “prima” fa la traversata chi ha più soldi, ma anche chi ne ha meno di tutti. Può sembrare un paradosso, ma non è così. Questo, infatti, è livello di coperta. Ci sono gli scafisti e i profughi solitamente bianchi di pelle, ovvero i siriani. In “prima classe” i rischi sono minori, si ha aria a sufficienza per compiere la traversata, si vede ciò che si ha davanti e si sta lontani dai motori.

In “prima” si viaggia con il salvagente, anche questo pagato ai trafficanti.

Tuttavia, in questa zona dei barconi si trova anche il cosiddetto “scafista”, ovvero chi conduce l’imbarcazione. Lo “scafista” a volte è qualcuno che lavora per i trafficanti che viene pagato per condurre il barcone per qualche miglia, e poi lascia la nave ritornando sulle coste nordafricane con un gommone, abbandonando l’imbarcazione alla deriva.

A volte, invece, lo “scafista” è chi non ha soldi per pagarsi il viaggio, un profugo che vuole raggiungere l’Europa. In questo caso non sempre, per non dire quasi mai, lo “scafista” improvvisato è in grado di guidare un’imbarcazione. Spesso è per questo motivo, oltre che per le condizioni delle barche, che avvengono i naufragi.

Quando le imbarcazioni sono di dimensioni più piccole, può non esserci una suddivisione in classi così articolata. Può darsi che se ne trovino soltanto due: quella sottocoperta, l’ultima classe, dove viaggia chi ha meno soldi; quella sul ponte, la “prima,” dove fa la traversata chi è più fortunato.

Le classi si suddividono anche per colore della pelle. I trafficanti di Egitto e Libia, infatti, sono famosi per essere razzisti nei confronti delle loro vittime subsahariane. Chi è nero viene fatto salire prima sulla nave e posizionato sottocoperta, nella zona motore. Chi è bianco viaggia sopra, più al “sicuro,” se così si può dire.