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Mancano solo 5 giorni all’election day — e ogni giorno che passa la corsa per la Casa bianca si fa più serrata: quella che sembrava una vittoria garantita alla fine del terzo dibattito si è trasformata in una strada ben più accidentata per Clinton, colpita su due fronti da Wikileaks e dall’FBI.

La scorsa notte i sondaggi New York Times/CBS News e ABC News/Washington Post hanno disegnato la corsa con un vantaggio di circa 3 punti totali a favore di Clinton. Nelle ultime quattro giornate la corsa è stata più volte campionata con zero punti di distacco.

Secondo il FiveThirtyEight di Nate Silver, in questo momento Clinton ha il 66,6% di possibilità di vincere. È la percentuale peggiore per chi cerca di commentare: sì, Clinton è favorita, ma la vittoria di Trump è tutto tranne che imprevedibile.

Dopo mesi di reciproco terrorismo, in una campagna elettorale che raramente si è sollevata dall’auto-caricaturale, proviamo a fare il punto su cosa succederà se Trump dovesse vincere.

(Non troverete un articolo del genere su Clinton, la cui presidenza si pone sostanzialmente in prosecuzione con l’esperienza Obama, con forse accenni più aggressivi di politica estera.)

Per valutare come il programma di Trump si potrebbe realizzare, è necessario partire dall’analisi di alcune premesse:

  • Trump è interessato solo a semplici concetti, di fatto quasi lanci pubblicitari. Questo significa che gran parte della policy sarà in mano di fatto all’establishment repubblicano: Trump chiederà di poter dire le cose che vuole fare, ma abbandonerà volentieri le effettive responsabilità presidenziali — che comportano ovviamente molto lavoro.
  • Se dovesse provare a tirare verso linee più dure, inevitabilmente si troverebbe a dover affrontare non una ma due camere a lui opposte. Francamente, Trump non ha mai dimostrato in nessun modo di essere interessato all’infinito braccio di ferro che una situazione del genere comporterebbe. Non si strappano voti bullizzando parlamentari.

La regola generale è quindi questa: le posizioni di Trump che sono estremizzazioni di punti della piattaforma repubblicana vedranno un progressivo reinquadramento nel contesto del programma di partito, mentre sulle questioni su cui Trump non è allineato al partito ci si accontenterà di trovare compromessi creativi per salvar la faccia.

  • Indubbiamente pietra fondante della sua campagna elettorale, il muro al confine col Messico non si farà, e certamente non si farà a spese dello stato messicano. Quello a cui indubbiamente assisteremo sarà un irrigidimento dei controlli, cosa che i repubblicani chiedono ormai da anni.
  • Difficile immaginare la direzione che prenderebbero gli Stati Uniti in materia di immigrazione: al di là di futili sceneggiate, il numero di rifugiati che vengono accolti ogni anno è ridicolo considerato il bacino continentale su cui sono distribuiti. Se gli Stati Uniti dovessero smettere di accettare rifugiati poco cambierebbe per l’Europa e per gli stati confinanti alle aree in guerra, d’altro canto, però, lo scandalo mondiale sarebbe enorme, e non è chiaro se il gioco varrebbe la candela.
  • Diverso è il discorso circa l’immigrazione economica, da tutto il mondo. Non ci sembra possibile che effettivamente i musulmani possano essere messi al bando: senza ragionare su lavoro e ben più evidenti problemi di occupazione, i musulmani costituiscono circa un quinto della popolazione mondiale — il danno anche soltanto in termini turistici potrebbe essere notevole.
  • Molto più realistiche invece, sono le possibilità di leggi che obblighino le società a istituire “corsie preferenziali” per la ricerca di nuovi dipendenti, in particolare nella finto cosmopolita Silicon Valley, finalmente piegata all’ordine di Peter Thiel.
  • Politica Estera—Su questo fronte le proposte di Trump si biforcano più di ogni altre rispetto al mainstream del partito Repubblicano: Trump racconta gli Stati Uniti come tendenzialmente isolazionisti, che rifuggono dalle autoimposte responsabilità come polizia globale con cui si erano investiti durante l’amministrazione Bush. Tuttavia, se c’è un leitmotiv dei tre dibattiti, è la fierezza con cui Trump annunciava di aver ricevuto endorsement da parte di svariati rinomati generali: se finirà per essere presidente è prevedibile che questi generali lo seguiranno alla Casa bianca. È più facile, insomma, aspettarsi una nuova guerra nell’Est che vedere gli Stati Uniti ritirarsi dagli scontri internazionali.
  • Sul fronte interno, per concludere, ci sono certamente due sicurezze: Obamacare verrebbe smembrata, e il “Common Core” per le scuole pubbliche verrebbe affossato, permettendo agli Stati più creazionisti e retrogradi di raccontare tutta la mitologia e il fantasy che vogliono ai giovani che avessero la sfortuna di crescere nelle loro scuole.

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L’unica vera ossessione di Trump è di essere venerato e celebrato — gran parte delle sue norme sarebbero invece profondamente divisive, e potrebbe naturalmente scegliere una via di più popolare moderazione.

Un presidente che tiene solo alle apparenze e a messaggi “semplici” potrebbe non essere necessariamente una quota negativa — può diventare l’ago della bilancia di un Paese spaccato.

D’altro canto, Silvio Berlusconi.

 

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.