Questa notte si è tenuto il primo confronto tra i due principali candidati a Presidente degli Stati Uniti — Hillary Clinton, e Donald Trump.

Per entrambi i candidati il confronto si preannunciava difficilissimo: Clinton e Trump non solo si trovano diametralmente opposti su moltissimi punti di policy, ma hanno stili retorici completamente differenti, che male si amalgamano, e inseguivano ieri notte obiettivi diversi.

Le priorità di Clinton era di dimostrarsi pronta alla presidenza: competente, preparata, in salute.

Aveva bisogno di scrollarsi di dosso quella brutta immagine di “zia d’America” che in realtà il suo stesso partito le ha cucito addosso, e di imporsi maggiormente per puro carisma.

Trump doveva per la prima volta mostrarsi presidenziale — composto, serio, umile, capace di essere un leader.

Il dibattito, diviso in sei segmenti monotematici da quindici minuti, poco si prestava alle necessità di entrambi. Il format era in particolare difficile da digerire per Trump: il pubblico era per lo più silenzioso, gli interventi cronometrati — e teoricamente non sarebbe stato nemmeno concesso interrompere l’altro candidato, cosa che poi ha finito per fare invece 51 volte in un’ora e mezza.

In apertura, la volontà di Trump di apparire diverso, per la prima volta, è stata istantanea: il primo segmento, su lavoro e disuguaglianza sociale, gli ha permesso di ricucire alcuni dei suoi punti forti — chiamiamoli anche tormentoni — con una nuova faccia, più compiuti e sviluppati.

Siamo solo nei primi minuti e nel video vedete come Trump stia già iniziando a vacillare. In una situazione di indubbio vantaggio, si lascia trascinare a discutere della propria competenza imprenditoriale e ricchezza personale, e sostanzialmente regredisce sulla retorica outsider contro insider. Il segmento successivo, su razzismo e violenza, è il colpo di grazia: Trump proseguirà tutto il dibattito accaldato, visibilmente costipato — molto di più di Clinton che ha appena superato una polmonite — continuando a bere acqua.

Iniziano così gli scivoloni: il problema della violenza sulla comunità afroamericana si combatte con più polizia, e contrastando le gang di immigrati “illegali,” forse l’espressione più brutta degli odierni Stati Uniti conservatori. Le armi? Non sono un problema, anzi. L’NRA? “Great people,” dice con aria convinta.

È il punto più basso per Trump, cui segue un lungo segmento sulla questione del certificato di nascita di Obama, una delle tante teorie del complotto che il candidato repubblicano ha portato al bavero per anni.

Durante tutta questa fase, nel frattempo, Clinton non brilla mai particolarmente. È una politica navigata, e sa quello che dice, uno standard — in realtà piuttosto basso, oggettivamente — che però nell’attuale confronto è oro puro.

L’ultima parte del confronto è stato un rimbalzare tra politica estera, il cosiddetto Stato Islamico, e la cybersecurity. È stato proprio in questo passaggio che, fosse stato Trump ancora lucido a questo punto, si sarebbe aperto uno spiraglio per un passaggio: la sicurezza informatica è il punto debole di Clinton, e, come ogni pessimista professionista, c’è un fondamento di verità in molte delle critiche che il repubblicano volge alla candidata democratica.

Invece tutto quello che riesce a fare è interrompere Clinton con dei brutti “no uh,” “no no,” e “Not true” — i suoi interventi risultano non sense: ritorna a sostenere che lo Stato Islamico non si sarebbe formato se gli Stati Uniti avessero fatto razzia del petrolio iracheno, ad esempio. (Come? Con i dischi volanti? E con che titolo?)

Trump non ce la fa più — chiama ripetutamente il problema il problema della sicurezza informatica “the cyber,” e mette in chiaro di non capirne niente almeno quanto Clinton.

È la fine: Trump ha sparato le proprie cartucce e ha mancato regolarmente l’obiettivo. Clinton non ha fatto passi avanti sostanziali, ma si è dimostrata la candidata sicura, razionale, competente che l’elettorato conosce.

Il messaggio del dibattito, fino a questo momento: un candidato potrebbe alzarvi le tasse, l’altro, iniziare una guerra nucleare.

È negli ultimissimi minuti che Clinton domina davvero, per la prima volta, Trump.

In un momento di vera confusione, Trump non riesce a cavarsi fuori dalle accuse — tutte sostanziate — di misoginia. Concluderà il dibattito poco dopo, quasi balbettando, rassicurando che sì, riconoscerà la vittoria di Clinton se dovesse perdere: ma che solo lui, a suo parere, può “fare di nuovo grande l’America.”

Sondaggi immediatamente successivi al confronto hanno visto Clinton in enorme vantaggio su Trump come percezione di chi avesse vinto. Secondo l’apparato conservatore Trump è andato così bene che Giuliani, l’ex sindaco di New York, suggerisce al candidato di non presentarsi ai prossimi due.

Vedremo nei prossimi giorni se questa notte informerà le dichiarazioni di voto dei cittadini statunitensi — il fatto netto è che oggi Trump è andato male e non ha detto praticamente niente di vero, ma in questa campagna elettorale tutta combattuta su social media e blog politici, cosa sia la verità e cosa no potrebbe importare fino ad un certo punto.

Il dibattito, insomma, è finito così:

A proposito: vi avevamo promesso delle GIF. Eccone un altro po’:

Totally una zia

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.