Buying at the dry goods market

in copertina, foto CC-BY-SA Institute for Money, Technology and Financial Inclusion

Canton Ticino. Lo scorso 1 luglio è entrato in vigore il bando ai burqa votato con un referendum nel 2013.

La legge, ultima di una serie di norme islamofobe che hanno attraversato l’Europa – a partire dal divieto di “volto coperto da velo” in luogo pubblico votato in Francia e Belgio nel 2011 – prevede multe che partono da 100 franchi per arrivare ai 10.000 (9.204 euro).

L’attivista Nora Illi e lo zorro del niqab Rachid Nekkaz hanno attraversato le strade di Locarno in vestiti tradizionali islamici, come manifestazione di dissenso contro la legge appena entrata in vigore. Fermati dalla polizia, sono stati multati per la trasgressione. Nekkaz per la contenuta somma di 230 franchi, Illi per la quota massima di 10.000.

Nascosti dietro il dito della “volontà popolare,” nessun partito, a destra o a sinistra, ha preso le distanze dalla norma quando si è trattato di votarla al Parlamento ticinese.

Woman and Children, Herat, Afghanistan

La conversazione attorno all’accettabilità del burqa nella società occidentale resta burrascosa. La pretesa femminista dalla quale si muovono governi conservatori parte da una premessa sostanzialmente misogina: che le donne coperte dai niqab, magari in grandi città occidentali, non siano in grado di difendersi da sole, contro usanze che forse solo la nostra cultura interpreta come oppressive.

La dissonanza cognitiva si fa particolarmente evidente nel caso di Nora Illi, che non proviene da una famiglia tradizionalista islamica, ma si è spontaneamente convertita al culto all’età di 18 anni, dopo aver precedentemente sperimentato il buddismo e con altri stili di vita alternativi.

Verrebbe da definirlo un non sequitur, una sorta di femminismo paternalistico, e funziona oggi come funzionò 15 anni fa quando George W. Bush zittì parte della sua opposizione annunciando come la missione statunitense “avrebbe salvato le donne afghane.”

Negli ultimi anni, illuminate voci della scena femminista statunitense sono arrivate a riconoscere la fallacità del limitare le scelte delle donne in modo da liberarle dalle costruzioni imposte dai loro mariti.

Il divieto però gode di buona salute: malgrado i molteplici attacchi, la sentenza in supporto del bando da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2 luglio 2014 blinda i legislatori nelle loro posizioni.

In Italia piú volte la Lega Nord ha cercato di forzare, sempre a livello municipale, l’applicazione della 152/1975, la legge che vieta l’uso di caschi per celare la propria identità, per impedire alle donne di indossare il niqab. La Lombardia ha vietato l’uso di veli che coprano il viso nei luoghi pubblici dallo scorso dicembre.

Come ogni altro capo di abbigliamento, il burqa è uno strumento per manifestare la propria identità nel mondo materiale — chiedete a un qualsiasi ragazzo goth quanto sia forte la necessità di esprimersi in questo modo, fa giustamente notare Paige Stannard nell’articolo sopra linkato. Impedirne l’uso è uno dei tanti strumenti con cui l’Occidente artificialmente rallenta ogni speranza di interazione con la cultura musulmana.

 

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.