aguardiente

Una cosa importante di cui mi sono reso conto bevendo l’aguardiente è che ogni paese ha la sua bevanda all’anice che non si beve per il piacere di bere, ma per arrivare velocemente a determinati stati psicofisici da utilizzare per fare altro.

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Un paio di mesi fa ero in giro per via Padova, a Milano, quando entrai in questo negozio di prodotti sudamericani per comprare qualcosa  per combattere la disidratazione causata dall’afa milanese.

Non ero da solo: ai tempi uscivo con una ragazza mezza colombiana che, una volta dentro il negozio, mi prese per la manica della maglietta e, indicandomi una serie di bottiglie poste su uno scaffale nel retro del negozio, mi disse: “Guarda! Vendono l’aguardiente, compriamolo.”

Io la guardai un po’ confuso e le chiesi spiegazioni.

Grave errore da parte mia, perché si scatenò una spiegazione lunga un paio d’ore, il cui succo era qualcosa del genere:

“L’aguardiente è la bevanda alcolica di alta gradazione più economica che tu possa trovare in Colombia, per questo è molto popolare tra i giovani squattrinati e tra gli squattrinati in generale. La trovi anche in piccoli cartoncini monoporzioni come quelle dei succhi. Le bottiglie grandi te le vendono con bicchierini di plastica annessi. Tipicamente alle feste c’è l’addetto all’aguardiente, cioè chiunque decida di occuparsi di far ubriacare tutti.

Rifiutarsi è quasi impossibile e, inoltre, molto maleducato, di conseguenza il giorno dopo ti svegli con il peggior post-sbornia che tu possa immaginare. Se sei colombiano hai avuto almeno una sbornia di aguardiente nella tua vita. C’è chi la odia, c’è chi la ama, ma tutti la bevono.”

Dopo avere pagato questa bottiglia cinque volte il suo valore, uscimmo dal negozio e lei, guardandomi fisso negli occhi, mi disse: “Se devi recensirlo, prometti di non farlo finché non ti sarai ubriacato solo di questo.” Glielo promisi. Un paio di mesi dopo mi sbronzai bevendo solo aguardiente e, ora, sono pronto a parlarne.

RECENSIONE

Premetto che ho fatto un po’ di ricerca prima di scrivere questa recensione perché a, quanto pare, il termine aguardiente indica una serie di bevande alcoliche nell’universo latino-americano e quello che ho provato è specifico della Colombia.

Ero a casa di amici e avevamo lasciato la bottiglia a raffreddarsi per circa un’ora, perché tutti sappiamo che, salvo rare eccezioni, gli alcolici sono più buoni ghiacciati. Un’eccezione è, per esempio, la birra calda che mi dava mia nonna ogni volta che andavo a cena da lei quando avevo diciotto anni e che, ancora oggi, mi rievoca traumatici ricordi. Versammo l’aguardiente in un paio di bicchieri con del ghiaccio, che presto si riempirono del liquido — di esotiche origini, ma indistinguibile all’occhio da altre bevande più vicine alla nostra quotidianità. Sì, insomma, l’occhio vuole la sua parte, ma in questo caso non è che ci fosse molto da osservare.

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L’aguardiente, con i suoi trenta gradi di disagio alcolico, nel suo sapore di anice e di povertà è simile alla sambuca. Capisco benissimo perché sia un alcolico da adolescenti: non ha nessun sentore di alcool e si riesce a bere tranquillamente senza quella mossa che si fa di solito quando si beve qualcosa con una gradazione troppo alta, in cui si scuote la testa, si tossisce e si urla una cosa come “BRAAAAAAH”. Sapete di cosa sto parlando.

Un aspetto importante di cui mi sono reso conto bevendolo è che, a quanto pare, ogni paese ha la sua bevanda all’anice che non si beve per il piacere di bere, ma per arrivare velocemente a determinati stati psicofisici da utilizzare per fare altre cose. In Italia c’è la sambuca, in Francia il pastis, in Turchia il raki e in Colombia l’aguardiente.

Il suo non-sapore è un dettaglio anche molto pericoloso perché dopo averne bevuto una decina di bicchieri in cui mi sembrava di stare bevendo solo acqua, mi ritrovai senza accorgermene completamente ubriaco. In questo stato uscii di casa e andai a fare festa.

In quel momento capii cosa intendeva quella ragazza quando mi disse che dovevo sperimentarlo sulla mia pelle. Non è facile dare un giudizio oggettivo su un prodotto folkloristico distaccandosi completamente da quell’etnocentrismo che, volenti o nolenti, esiste in qualche modo dentro ognuno di noi. Dopo aver fatto festa per tutta la notte in uno stato di euforia alcolica, mi svegliai il giorno dopo, come aveva profetizzato quella ragazza, con il peggior post-sbornia che io ricordi. Tutto sommato, ne è valsa la pena.

VOTO 7/10

KONBINI: Più di un semplice food blog: un viaggio onirico nel cibo esotico metropolitano, tra le luci al neon dei negozi aperti h24 e le panchine dei parchetti. Tutte le puntate qui.