Proclamare l’inconsistenza scientifica dell’omeopatia non serve a ridurne la popolarità: è necessario un diverso atteggiamento.
È virtualmente certo che l’omeopatia non curi le malattie più di quanto faccia una pallina di zucchero. La letteratura scientifica al riguardo è sterminata, allineata e ridondante. Addirittura, stando ad un recente numero di Veterinary Record, i metodi omeopatici non hanno un effetto statisticamente significativo nemmeno sugli animali da allevamento. A voler essere pignoli, nemmeno il principio scientifico cardine di questa medicina alternativa (ovvero “il simile cura il simile”) appare convincente. Una débâcle completa.
Nonostante ciò, milioni di persone continuano imperterrite ad affidarsi all’omeopatia. L’insuccesso dei numerosi appelli lanciati al fine di scoraggiare queste pratiche — e altre di natura simile, come l’astensione dalla vaccinazione, che molto ha fatto parlare fino a pochi giorni fa — è sotto gli occhi di tutti. Nasce il lecito sospetto che affrontare l’omeopatia brandendo grafici e percentuali manchi il nocciolo della questione, che si presenta assai più vasta di una semplice pallina di zucchero.
Recentemente, per il caso dei vaccini, il dibattito sull’adozione di determinate pratiche mediche ha riguardato soprattutto l’opinabilità della scienza. La disputa, combattuta su Facebook a suon di ban, ha messo in luce la distanza che si è creata negli ultimi anni fra l’Esperto (quantomeno un massone) e l’Utente che si informa su internet (immancabilmente un analfabeta funzionale). Questo circolo vizioso, che fomenta la ricerca di metodi alternativi e non ufficiali, spiega solo in parte la resilienza dell’omeopatia, che esiste da ben prima di internet, e ha saputo coinvolgere anche buona parte dei medici cosiddetti ufficiali.
Una prima osservazione è di natura metodologica. Proclamare che l’omeopatia sia una medicina significa produrre un’affermazione al 99% scorretta, ma al 100% parziale. Samuel Hahnemann, fondatore dell’omeopatia, affermava che
“l’omeopatia non punta alla guarigione della malattia, che è solo un sintomo del disordine interno dell’organismo, ma alla guarigione dell’individuo nella sua integrità e individualità.”
Ovvero: essa non si pone come la medicina “allopatica” (ovvero ufficiale) l’obiettivo di individuare sintomi e stilare diagnosi, ma intende comprendere l’uomo nella sua interezza, anche a costo di trascurare la malattia nel senso proprio del termine.
Si nota subito una discrepanza tra questa definizione e quanto generalmente è inteso come “omeopatia.” Se essa intende avere l’approccio olistico impartito dal suo fondatore, non è una scienza, né pretende di esserlo. Né ha senso trattarla come tale: la sua veridicità è insondabile con gli strumenti della statistica, come l’oroscopo o il marxismo. L’approccio integrato e a-scientifico incrementa di molto l’appeal dell’omeopatia, e contribuisce a spiegarne il successo.
L’omeopatia intesa puramente come cura, invece, incarna un sentimento di delusione verso la medicina ufficiale e la sua fallacia. Samuel Hahnemann era un brillante medico, laureato con lode, conosceva otto lingue, e presumibilmente non era nemmeno in cattiva fede; tuttavia è vissuto fra il XVIII e il XIX secolo, e molti fenomeni biologici e psicologici (fra cui il placebo) gli erano sconosciuti. Inserì nella sua neonata teoria alcuni elementi, fra cui l’uso di sostanze naturali, la cura pensata ad hoc, l’attenzione verso “l’integrità e l’individualità” del paziente, che rendevano il processo di guarigione molto più umano. Questa caratteristica è rimasta presente nella dottrina più ortodossa, e ne rappresenta il secondo motivo di successo ancora oggi; si pensi ai casi in cui il paziente dovrebbe essere sottoposto a cure drastiche e molto pesanti, come la chemioterapia.
Sarebbe un errore considerare l’omeopatia semplicemente come un male da sradicare. Essa suggerisce numerosi spunti che la medicina — in quanto sanità — potrebbe cogliere. La scienza, di per sé, deve astrarre e lavorare per compartimenti stagni, ma è sconsigliato che l’applicazione scientifica faccia lo stesso — un esempio? Il motore a combustione e i cambiamenti climatici. È assolutamente impensabile che la medicina studi l’individuo nella sua dimensione olistica; nondimeno, è concepibile che la sanità — compreso il suo apparato burocratico — possa svilupparsi per agevolare sempre di più l’integrazione fra i diversi ambiti, che pure sono interconnessi. Ancora più evidenti sono gli spunti riguardo all’accompagnamento del paziente nel suo processo di cura. Esistono già molte esperienze al riguardo, e nulla vieta di procedere ulteriormente in quella direzione.
Il generale approccio a-scientifico dell’omeopatia lascia spazio per un’ultima riflessione. Come suggerisce l’articolo Why Do Many Reasonable People Doubt Science?, pubblicato a marzo 2015 su National Geographic, la mancanza d’abitudine dell’uomo a maneggiare la scienza provoca uno scontro doloroso nel momento in cui l’incontro è inevitabile, e la medicina è il caso più comune. Risulta difficile accettare conclusioni che sembrano contraddire il buonsenso, anche di fronte ad una dimostrazione ineccepibile – si pensi alle difficoltà incontrate da Galileo o Darwin. Inoltre, riuscire a sconfiggere lo smarrimento dato dalla divergenza tra buonsenso e conclusione scientifica è più utopico (o distopico) di quanto sembri. Un test condotto presso l’Occidental College di Los Angeles ha dimostrato che studenti con una formazione scientifica avanzata rallentavano sensibilmente nel rispondere a domande meno intuitive, benché assodate (l’uomo discende da animali acquatici? La Terra gira attorno al Sole?) rispetto a domande parimenti assodate ma più intuitive (l’uomo discende da animali arboricoli? La Luna gira attorno alla Terra?).
È virtualmente certo che l’omeopatia non curi le malattie, come una pallina di zucchero; tuttavia bollare l’omeopatia soltanto come una pallina di zucchero significa che milioni di pazienti continueranno ad assumere palline di zucchero.