Lo strumento con cui Beppe Grillo tiene al guinzaglio i dissidenti è aziendale più che politico: il logo del Movimento 5 Stelle, marchio registrato.
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Alla fine, a Roma, è prevalsa la linea Grillo. Il sindaco Virginia raggi ha ceduto, dando il benservito a due importanti membri della giunta comunale: Daniele Frongia e Salvatore Romeo, suoi fedelissimi — o, secondo la tradizione inaugurata dal famoso “cerchio magico” di Berlusconi, il “Raggio Magico.”
Da Milano, una città alle prese con vicende municipali piuttosto burrascose, la politica amministrativa romana può sembrare una cosa distante, che arriva a Nord con un’eco ovattata. Eppure va seguita con attenzione, visto che nelle intenzioni del Movimento 5 Stelle l’amministrazione della Capitale è un crash test per il loro futuro, l’ineluttabile Governo Nazionale — motivo per il quale Grillo sta esercitando ingerenze mai viste per un capo di partito all’interno di un’amministrazione comunale. In particolare, bisogna prendere nota della minaccia decisiva con cui il “portavoce” ha piegato la resistenza del sindaco: quella di espellerla dal Movimento.
Alla Leopolda, qualche tempo fa, i militanti renziani più scaldati si abbandonarono alle grida di “fuori, fuori!” verso i membri della sinistra PD, colpevole di fare campagna per il No al Referendum Costituzionale — sembra una vita fa. Ma Bersani o D’Alema non potrebbero essere espulsi dal Partito con una decisione d’imperio di Renzi, da un giorno con l’altro: la messa alla porta, in un Partito che si definisce bene o male Democratico, è una procedura più complessa, almeno per quanto riguarda personaggi di rilievo. Invece Grillo avrebbe potuto espellere la Raggi nell’arco di mezz’ora. Il tempo di una telefonata al suo avvocato.
Il mezzo tramite il quale il padre-padrone del Movimento tiene al guinzaglio consiglieri, sindaci e militanti riottosi, è infatti insolito in politica e ricorda quello di un’azienda con un dipendente licenziato. Grillo proibisce infatti al reietto di usare il simbolo del Movimento o di farsi associare ad esso in qualsiasi modo.
Il simbolo del Movimento è infatti un marchio regolarmente depositato, soggetto a tutte le restrizioni del caso. In origine, l’unico proprietario era lo stesso Beppe Grillo — ed è anche comprensibile, visto che il Movimento 5 Stelle è nato come poco più di uno svago da parte del comico. Dopo il clamoroso exploit alle elezioni del 2013, da varie parti nel Movimento arrivò la richiesta di rendere la gestione del logo, ormai un simbolo chiave del panorama politico nazionale, un po’ meno arbitraria.
Grillo dunque vendette, sì, il logo. Ma all’Associazione MoVimento 5 Stelle, composta allora da Gianroberto Casaleggio, il commericalista di Grillo, l’avvocato — nonché nipote — di Grillo e Grillo stesso. Per un periodo, pareva che nell’Associazione dovessero entrare anche i membri dell’abortito direttorio, come Di Maio e Di Battista: ma non è mai successo.
Tutte le espulsioni dal Movimento sono contrassegnate da questa modalità — anche da prima del successo di massa. Nel 2012, il consigliere regionale piemontese Fabrizio Biolè venne espulso con una lettera dello studio legale Squassi e Montefusco, curatore degli interessi di Grillo, come riportato da Federico Mello nel suo lavoro del 2013 Il lato oscuro delle stelle:
“Le comunico la decisione del sig.Grillo di revocare l’autorizzazione all’utilizzo da parte Sua del nome e del marchio MoVimento 5 Stelle di cui egli è esclusivo titolare, invitandoLa a volersi astenere, per il futuro, di qualificare la Sua azione politica come riferibile al MoVimento stesso o, più in generale, come ispirata dalla persona del mio cliente.”
È ovvio che la Raggi abbia dovuto cedere e accontentare il padrone del suo marchio, senza la quale rimarrebbe politicamente orfana da un giorno con l’altro. E non c’è nessun procedimento trasparente o democratico nel meccanismo di questa scomunica. Cosa ci si dovrebbe aspettare se il Movimento dovesse andare al potere e questo trattamento venisse riservato a membri del Governo, parlamentari, o addirittura allo stesso eventuale Primo Ministro — che, come da statuto del Movimento, dovrà essere per forza una persona diversa da Beppe Grillo?