L’Ikebana nell’immaginario collettivo occidentale rappresenta semplicemente un’arte di composizione floreale. Ma in realtà l’Ikebana non si limita a questo. Come in ogni forma artistica nipponica, dalla pittura alla poesia, la storia e la cultura sono il fulcro e il soggetto dell’opera. L’Ikebana può essere visto come uno specchio nel quale è riflessa l’identità stessa dei giapponesi. Tramite il simbolismo vengono disposti nello spazio non solo fiori, ma in generale tutto ciò che è vegetale, dai semi ai frutti, dai rami alle foglie.
Per approfondire la conoscenza di questa magnifica espressione culturale giapponese, al Mudec di Milano è in corso la mostra Ikebana, l’arte dei fiori viventi, presentata dal Garden Club Milano e patrocinata dall’ambasciata giapponese in Italia e dal consolato giapponese di Milano.
La comparsa dell’Ikebana risale al 1400, nel periodo in cui il potere politico del paese apparteneva alla classe guerriera. Le prime composizioni sono da attribuire ai monaci che venivano ricevuti dalle corti ed erano a scopo votivo. I vasi ornati da rami e foglie venivano posizionati nel Tokonoma, un’alcova rialzata nelle abitazioni considerata sacra. Queste prime composizioni si chiamano Rikka, dal giapponese “vegetali in piedi,” perché venivano create verticalmente come rappresentazione del monte sacro Sumeru. Successivamente si è diffusa in tutto il paese ed è penetrata negli strati della società più umili e anche con stili diversi, ma è rimasta per secoli una pratica sconosciuta al resto del mondo.
È solo a metà del 1800 che, con l’apertura forzata delle frontiere indotta dal commodoro americano Matthew Perry, il mondo venne a contatto con la cultura giapponese. Non conoscendo e non avendo i mezzi per comprendere la profondità delle composizioni di Ikebana, per lungo tempo quest’arte fu accomunata alla composizione floreale occidentale. Solo nel 1891, grazie a un libro dell’architetto britannico Conder Josiah, affiorarono le prime differenze. Asimmetria, simbolismo religioso, utilizzo attivo del vuoto e feng shui sono solo alcuni degli elementi che fanno parte della complessa arte che è l’Ikebana.
Nel corso del tempo sono stati creati nuovi stili compositivi, ma a differenza dell’arte occidentale nella quale il nuovo soppianta il vecchio, nell’Ikebana ogni stile mantiene la propria importanza e viene tramandato. E proprio con questo fondamento che la tradizione continua ad essere insegnate nelle varie scuole ikebaniste, nonostante l’occidentalizzazione e la globalizzazione tendano a spingere gli avanguardisti su nuove strade. Grazie quindi all’influenza occidentale, soprattutto americana, che per quasi mezzo secolo ha permeato la società giapponese, intorno al 1930 nascono le scuole contemporanee e i loro stili rompono con le regole del passato. Al centro della composizione vi è l’individualità dell’ikebanista che esprime se stesso.
Nella mostra in corso al Mudec, oltre a poter ammirare le composizioni di Ikebana, è possibile osservare libri, vasi e strumenti sia antichi che moderni tratti dalla collezione del museo normalmente non esposta e da collezioni private. La mostra rimarrà aperta fino al 30 ottobre 2016 e avranno luogo due eventi a cura del Chapter Ikebana Ohara di Milano: una dimostrazione pubblica con creazioni originali di Ikebana, intitolata “Le basi e l’arte dell’Ikebana,” mercoledì 26 ottobre alle ore 18; una conferenza pubblica intitolata “L’Ikebana, arte tradizionale giapponese.”