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Pepe the Frog è stato appena inserito nel database online dei simboli dell’odio curato dalla Anti-Defamation League. Il motivo della messa all’indice della sfortunata rana è il successo ultimamente riscosso presso la cosiddetta alt–right — la nuova estrema destra statunitense, giovane, suprematista e nativa digitale — che per qualche ragione l’ha preso come uno dei propri simboli.

Creato nel 2005 dal cartoonist Matt Furie, per quasi dieci anni Pepe the Frog è stato solo un meme innocuo. Purtroppo, come rimarca la Anti-Defamation League — una ONG americana impegnata nel contrasto all’odio online contro le minoranze — “immagini della rana, variamente ritratte con baffetti alla Hitler o un cappuccio del Ku Klux Klan, sono proliferate nelle ultime settimane in messaggi d’odio diretti ad ebrei e altri utenti di Twitter.”

Secondo quanto riporta il Guardian, Furie è rimasto scosso dall’uso improprio del suo personaggio. “Fino a qualche giorno fa nemmeno sapevo bene cosa fossero i nazionalisti bianchi” (questo spiega molte cose). Furie si definisce liberal e supportava Bernie Sanders. “L’alt–right è una cosa ancora nuova e molto strana: qualcosa che non supporto in nessun modo.”

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Pepe nasce come protagonista di una serie di strip sulla fanzine Boy’s Club, interamente edita dal suo creatore. È un personaggio vecchio quanto lo è l’internet mainstream: stiamo parlando di vignette che venivano disegnate in Paint e condivise su MySpace.

I personaggi di Boy’s Club, una serie di mostri deformi, sono stati generalmente dimenticati — nella vignetta feels good man, il pepe originario, se vogliamo, c’è anche un altro personaggio di Furie, che però è stato rimosso e completamente abbandonato, perché decisamente meno iconico.

E l’iconicità è probabilmente la causa della metamorfosi di Pepe: riscoperto da utenti del sito di brutti ceffi internet 4chan, Pepe viene remixato adattato, e diventa uno dei primi “meme” come oggi li intendiamo, tormentoni che permettono grande varietà di genere, riprendendo però un personaggio o un motto costante.

E poi, durante l’inverno del 2013, Pepe… muore. La sua popolarità su Google Trends precipita, e la sua sparizione diventa un tormentone a sua volta, i “pepe rari” le immagini che ancora vengono prodotte da tizi su internet, ma poco condivise perché a un certo punto anche basta.

Infine — non proviamo a capire come funzioni la mente degli autori di meme dell’alt–right — il ritorno. Pepe diventa la faccia di tutti i politici di estrema destra che non potrebbero essere inseriti in una immagine con caption senza limitarne fortemente la viralità: diventa una sorta di agente propagatore — neutralizza apparentemente il contenuto d’odio rendendolo più appetibile, per un pubblico più vasto. È la deriva pop della retorica dell’odio.

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È facile, sul database dei simboli dell’odio, trovare l’intruso — la trasformazione di Pepe in un simbolo usato per propagare un’ideologia omicida perfettamente incapsula la trasformazione dell’estremismo di destra.

Si può, volendo, identificare due filoni: quello popolare, iper-aggressivo e neonazista, legato ad un mondo di gang e malavita borderline, e quello benestante, legato all’occultismo, iniziatico.

In una operazione botanica possibile solo grazie alle dinamiche di internet, questo terzo filone si innesta perfettamente nel centro: è popolare e populista, ma ha una forte dimensione iniziatica: bisogna sapere da dove arrivano queste immagini, per essere parte del gruppo. Bisogna farsi accettare in comunità chiusissime e diffidenti come quella della subreddit /r/TheDonald e /r/altright — gruppi che chiamano il confronto “leftist agitation” e le persone curiose ma, appunto, non iniziate “normies.”

Si tratta di un marchio di odio particolarmente insidioso, che passa per “una ragazzata,” finché non prende il controllo di uno dei due partiti della più grande potenza del mondo — e finché quel partito non rischia di vincere le elezioni.

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.