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foto via X @Quirinale

Le forze dell’ordine italiane fanno profilazione razziale durante le loro attività di controllo, sorveglianza e indagine, in particolare verso le persone delle comunità rom o di origine africana. La cosa non dovrebbe stupire nessuno, ma è stata messa nero su bianco dall’Ecri, l’organo anti-razzismo del Consiglio d’Europa. L’ente evidenzia che “le autorità non sembrano essere consapevoli della portata del problema e non hanno considerato l’esistenza della profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale.” Inoltre, “l’Ecri rileva con seria preoccupazione che il discorso pubblico italiano è diventato sempre più xenofobo negli ultimi anni e che i discorsi politici hanno assunto toni altamente divisivi e antagonisti, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché di cittadini italiani con background migratorio, rom e persone LGBTI.” Il rapporto completo si può leggere qui.

Invece, stranamente, qualcuno si è stupito: a cominciare dalla presidente del Consiglio Meloni, secondo la quale “le nostre Forze dell’Ordine sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie.” Secondo il ministro dell’Interno Piantedosi, che ha deciso di non utilizzare minimamente un documento di rilievo internazionale come spunto di riflessione, “è inaccettabile che un’organizzazione internazionale — di cui non tutti hanno ancora ben compreso il ruolo — insulti donne e uomini che con dedizione ogni giorno mettono a rischio la loro vita per garantire la sicurezza dei cittadini,” mentre il ministro degli Esteri Tajani ha detto senza timore di essere ridicolo che “non condivido una parola di quello che hanno scritto. Conosco per lunga esperienza da militare, giornalista e politico le nostre forze dell’ordine. Escludo che ci siano agenti, carabinieri, poliziotti o finanzieri che siano razzisti.”

L’intervento forse più grave però non è arrivato da membri del governo, bensì dal presidente della Repubblica Mattarella, che è anche il capo delle forze armate. Secondo una nota del Quirinale, Mattarella ha telefonato al capo della Polizia, Vittorio Pisani, “esprimendogli lo stupore per le affermazioni contenute nel rapporto della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa e ribadendo stima e vicinanza alle forze di Polizia.” Eppure, nonostante tutte le più alte cariche italiane siano cadute dal pero, esistevano già altri rapporti che facevano notare il preoccupante razzismo latente diffuso nelle forze dell’ordine italiane: circa un anno fa aveva denunciato la situazione anche il Cerd, il comitato contro il razzismo dell’Onu. Secondo il Cerd, “tra coloro che sono stati fermati nei dodici mesi precedenti il sondaggio, il 70 per cento ritiene che l’ultimo fermo sia stato motivato da motivi razziali,” con il comitato che si era detto “preoccupato per le numerose segnalazioni sull’uso diffuso di profili razziali da parte delle forze dell’ordine e per le informazioni riguardanti un elevato numero di casi di abusi razzisti e maltrattamenti, tra cui l’uso eccessivo della forza e di violenza contro minoranze etniche, in particolare rom, sinti e camminanti, africani, persone di origine africana e migranti.”

L’Ecri ha fatto anche notare un’altra cosa: l’inefficienza dell’Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni del dipartimento per le pari opportunità, oggi di fatto controllato dalla ministra Eugenia Roccella — che nel 2017 insieme a Meloni ne aveva addirittura chiesto la chiusura. Non potendo far sparire quest’organo, il governo sembra averlo reso del tutto inattivo, visto che di fatto negli ultimi anni non sono stati portati avanti nuovi progetti — nemmeno pensati per contrastare il razzismo nelle forze dell’ordine, che invece avrebbe potuto essere attivato. Questa paralisi colpisce anche, ad esempio, il progetto Fami che dovrebbe finanziare corsi di lingue, progetti di accoglienza e integrazione. L’Ecri fa notare che “lo status dell’Unar è incompatibile con il requisito di indipendenza normalmente richiesto per un organismo di parità.”


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