Il Pd di Enrico Letta ha firmato un accordo in perdita con Azione e +Europa, ma il problema più grosso è il “personaggio” di Carlo Calenda, ogni giorno più ingombrante in coalizione — al punto da far mettere in discussione la presenza di Sinistra Italiana e Europa Verde
L’accordo elettorale tra Pd e Azione/+Europa rischia di allontanare gli altri alleati della coalizione di centrosinistra: Fratoianni e Bonelli hanno deciso di rinviare l’incontro con Letta previsto per ieri, citando il “profondo disagio” che si registra nel paese e in particolare nell’elettorato di centrosinistra. “Essendo cambiate le condizioni su cui abbiamo lavorato in questi giorni, sono in corso riflessioni e valutazioni che necessitano di un tempo ulteriore.” Secondo Bonelli, l’alleanza tra Sinistra Italiana e Verdi vale più voti di Calenda, e quindi andrebbe rinegoziata la spartizione dei collegi uninominali — il cui 30%, in base all’accordo, andrà ad Azione/+Europa.
L’altro tema indigesto è la fantomatica “agenda Draghi”: Fratoianni ha detto esplicitamente che “se nella coalizione c’è quello, allora non ci sono io.” Il testo dell’accordo, in realtà, è volutamente ambiguo: non cita nessuna agenda, ma soltanto “il metodo e l’azione del governo Draghi” e le sue “linee guida di politica estera e di difesa.” Ma Calenda, che ha passato la giornata a vantarsi su Twitter di aver imposto al Pd tutte le proprie condizioni, ha chiuso a qualsiasi ipotesi di rinegoziazione, dicendo che “l’agenda Draghi è il perno di quel patto, e tale rimarrà. Fine della questione.”
Se Bonelli e Fratoianni dovessero accogliere le aperture di Giuseppe Conte e optare per un’alleanza con il M5S, secondo una simulazione dell’Istituto Cattaneo l’alleanza tra Pd e Azione/+Europa perderebbe 14 seggi, di cui però soltanto 3 potrebbero essere conquistati dall’alleanza di sinistra, mentre gli altri 11 andrebbero con ogni probabilità alla destra — in virtù di una legge elettorale che, come sappiamo, favorisce le alleanze più ampie.
Ma non è questa l’unica grana per il Pd: anche Di Maio ha espresso malumori e sarebbe addirittura tentato di uscire dalla coalizione. L’accordo con Calenda, infatti, esclude la possibilità che i leader dei partiti e i fuoriusciti dal M5S vengano candidati nei collegi uninominali — per questo il ministro degli Esteri sarebbe costretto a rinunciare al suo nuovo partito, Impegno Civico, presentato appena due giorni fa, e candidarsi nella lista del Pd. I dem avrebbero offerto un posto a lui e Tabacci, ma secondo i retroscena Di Maio vorrebbe almeno 3 seggi per i suoi. A questo si aggiungono i malumori degli stessi membri del Pd, che si ritrovano con meno posti a disposizione a causa dei seggi che Letta ha promesso agli alleati.