Contratti precari, mancanza di alloggi, infrastrutture inadeguate: l’arrivo di Amazon a Rovigo ha sconvolto la comunità locale, nell’impotenza di lavoratori e sindacati
Lo scorso settembre Amazon ha aperto, tra San Bellino e Castelguglielmo, in provincia di Rovigo, un nuovo stabilimento addetto alla logistica. Nel magazzino, che è tra i più all’avanguardia in Italia grazie all’uso della robotica e si estende su 65 mila metri quadri, Amazon si propone di creare, entro i prossimi tre anni, fino a 900 posti di lavoro a tempo indeterminato. I primi mesi di storia del nuovo complesso lasciano tuttavia spazio a qualche dubbio.
Tra settembre e dicembre — in previsione del “Black Friday” e delle spese di Natale — sono state impiegate più di mille persone, soprattutto attraverso agenzie interinali: “Nel giro di un paio di mesi,” spiega Matteo Poretti, segretario generale FILT CGIL Rovigo, “si sono raggiunte circa le mille persone: 150-200 dipendenti diretti di Amazon Logistica Italia e tra i 700 e gli 800 dipendenti di agenzie interinali, con contratti che principalmente servivano a far arrivare Amazon alle festività. Inizialmente quindi molti tempi determinati.”
“L’agenzia interinale,” continua Poretti, “ha tendenzialmente tre tipi di contratti: i full time, che lavorano circa 5 giorni a settimana e sono quelli che realisticamente hanno una maggiore possibilità di essere stabilizzati. Lavorano a tempo determinato ma pieno – questi sono quelli che garantiscono la base della struttura organizzativa. Impianti di questo tipo hanno bisogno di un’enorme elasticità – dovuta alla variabilità della domanda e dei click. Oltre ai tempi pieni ci sono quindi moltissimi lavoratori part-time, concentrati molto spesso nel weekend (venerdì notte, sabato notte, domenica notte). E poi ci sono i MOG, i più precari di tutti. Il MOG è una forma di lavoro interinale che garantisce un minimo di ore pagate – contratti da 16 ore a settimana, cioè due giorni di lavoro.”
Il prezzo della flessibilità ricade quindi essenzialmente dal lavoratore, sia per l’incertezza sulle ore di lavoro settimanali, sia per la precarietà dei contratti. Nel caso specifico dello stabilimento di Rovigo, si uniscono a queste una serie di problematiche legate al territorio e al tessuto sociale locale. Amazon, decidendo di aprire a Rovigo, “incontra un tessuto istituzionale ed economico anche nelle sue declinazioni organizzative assolutamente non preparato a ricevere e gestire un impianto di quel tipo,” spiega Poretti.
Il primo problema che si pone è quello delle infrastrutture: “Innanzitutto la viabilità. Abbiamo infrastrutture molto carenti, non adeguate alla portata dei mezzi che entrano ed escono da quell’impianto. Per esempio la ‘Transpolesana’, che già di per sé faceva fatica a sopportare il traffico esistente lungo quell’asse tra Rovigo e Verona, che si sta comunque strutturando per essere l’asse della logistica.”
Questo implica anche una seconda difficoltà: quella che gli stessi lavoratori sperimentano quotidianamente per raggiungere la struttura. “Nessuno si è preoccupato di capire come sviluppare un servizio di trasporto pubblico locale che possa portare la gente a lavorare dalle principali città limitrofe: è stato costruito un impianto in mezzo ai campi tra Lendinara e Badia Polesine — dove il comune più vicino è Sambellino, che ha 1300-1400 abitanti — senza chiedersi come la gente sarebbe arrivata a lavorare.” Poretti sottolinea che “un migliaio di persone che si muove non è poca cosa per un territorio come quello.”
Non solo: c’è anche una difficoltà proprio dal punto di vista degli alloggi, soprattutto perché molti dei lavoratori si sono trasferiti nel Polesine da tutta Italia. I comuni della zona, quelli da cui si può realisticamente pensare di raggiungere lo stabilimento, sono tutti di piccole dimensioni – tutt’altro che preparati per ospitare un numero di nuovi abitanti così alto. “Era praticamente impossibile trovare un appartamento libero in affitto — almeno nei mesi di ottobre e novembre — nei comuni di Lendinara e Badia Polesine, che sono comuni di circa 10.000 abitanti, quelli più vicini all’impianto.”
Con un contratto di lavoro di tre mesi, sostanzialmente senza garanzie, risulta difficile fornire le credenziali necessarie ottenere un contratto d’affitto. Si sono quindi moltiplicati i Bed and Breakfast di fortuna e altre soluzioni più flessibili. A fronte di una domanda tanto alta e una così bassa disponibilità, i prezzi sono risultati in molti casi proibitivi. Poretti parla di case in condivisione con affitti “da anche 500 euro al mese a testa,” una spesa difficilmente affrontabile con un contratto part-time o MOG. Eppure, i lavoratori del nuovo impianto si sono dimostrati disponibili a un compromesso temporaneo, nella speranza della stabilizzazione del posto di lavoro.
Anche questo problema è stato fondamentalmente ignorato, dall’azienda così come dalle istituzioni responsabili: “Ci si è iniziati a fare delle domande – anche da parte delle amministrazioni locali — solo quando si è vista la gente che dormiva con i sacchi a pelo sotto il municipio o viveva nei camper fuori dallo stabilimento.”
Il caso più discusso è stato quello di un impiegato di Ferrara, Massimo Straccini, 58 anni, che pur di lavorare si è visto costretto a vivere in un camper con la moglie, fuori dallo stabilimento. Allo scadere del suo primo contratto da tre mesi Amazon ha poi deciso di non rinnovarlo. Secondo Straccini il motivo sarebbe stata la sua decisione di raccontare ai media la propria storia.
Al di là delle singole esperienze, le dinamiche innescate dall’arrivo di una superpotenza come Amazon all’interno di una piccola comunità dovrebbe spingere a una riflessione più ampia sul ruolo delle grandi multinazionali tecnologiche nel futuro del mondo del lavoro.
Che tipo di lavoro, innanzitutto? “Il lavoro dovrebbe essere qualcosa che ti dà un reddito che ti consenta di vivere. Ho dei seri dubbi che quello [offerto dal nuovo stabilimento di Amazon] possa al momento essere identificato come un posto di lavoro,” commenta Poretti. I dipendenti stabili e quelli che occupano posizioni manageriali potranno sentirsi parte integrante della compagnia, “ma nel momento in cui il tuo lavoro è stare in magazzino a spostare pacchi, sei valorizzato solo nella misura in cui corrispondi a dei numeri e a dei tempi. E c’è qualcuno che ti controlla affinché tu riesca a garantire quella produttività.”
Non sono solo le dinamiche tra datore di lavoro e impiegato a modificarsi, ma anche quelle tra multinazionali e compagnie locali. Amazon infatti, per tutte le sue attività in Italia, si serve di compagnie e agenzie interinali a cui appalta sia determinati servizi che il reclutamento di buona parte delle risorse umane. “Amazon utilizza cinque sei società in appalto,” spiega Massimo Cognolatto, segretario generale di CGIL Padova, parlando della facility di Vigonza, “coinvolgendo circa quattrocento persone che effettuano servizio di driver.” Tuttavia, “non si può parlare di vero appalto, perché nella realtà dei fatti queste società non sono autonome ma alle dipendenze di Amazon stessa.”
Per quanto la situazione dei driver di Vigonza sia diversa sotto molti aspetti da quella dei lavoratori dello stabilimento di Rovigo, è ancora una volta la qualità e la natura del lavoro creato che dovrebbe essere esaminata e messa in discussione. Secondo Cognolatto ci sarebbero dei veri e propri “problemi di sfruttamento”, alimentati dal fatto che molti degli impiegati siano studenti o giovani alla loro prima esperienza sul mercato del lavoro.
In questo contesto, le istituzioni tradizionali, compresa quella del sindacato, non sembrano del tutto preparate a instaurare una conversazione critica o una negoziazione con un gigante del mercato. Diventa allora imprescindibile, anche in previsione dell’imminente apertura di nuovi stabilimenti, secondo Poretti, “capire che impatto abbia Amazon sul futuro sia economico che sociale, che anche politico, perché sta diventando a tutti gli effetti un attore politico. Questo sarebbe molto più importante che raccontare una singola storia e poi chiudere il sipario sul tema.” Così facendo infatti si rischia di fare informazione perdendo di vista l’obiettivo di mettere in comunicazione i lavoratori e le comunità locali con le grandi società.
Fenomeni come quello di Amazon a Rovigo e Vigonza sono destinati a diventare sempre più frequenti e, se gli strumenti attualmente a disposizione non sembrano sufficienti a far sentire la voce dei lavoratori e a porsi in una posizione di dialogo costruttivo con le grandi compagnie, bisognerebbe cominciare a domandarsi come svilupparne di nuovi. Questo non può prescindere da un precedente confronto tra le istituzioni locali, le comunità e le associazioni dei lavoratori, per comprendere come – e se – realtà come quella di Rovigo o di Vigonza possano assorbire l’inevitabile impatto della presenza di un gigante come Amazon.
“Nelle prossime settimane a livello nazionale ci sarà il primo incontro ufficiale tra le società e le organizzazioni di categoria che rappresentano Amazon e le organizzazioni dei trasporti, Cgil, Cisl e Uil” ma, fa notare Poretti, questo avviene ora per la prima volta dopo anni di presenza di Amazon in Italia. “Cosa si sarebbe dovuto fare? Certamente un tavolo istituzionale (al quale Amazon probabilmente non si sarebbe mai seduta) alla presenza della regione, alla presenza della prefettura, alla presenza della provincia, delle categorie sindacali in cui discutere come confrontarci con quella realtà.”
EDIT 17.30: è stato corretto il nome di Matteo Poretti (non Poletti) e la sua carica (segretario generale FILT CGIL Rovigo e non CGIL Rovigo come precedentemente indicato).