Martedì 19 luglio Human Rights Watch ha pubblicato un nuovo report di 87 pagine sulla condizione dei bambini siriani rifugiati in Libano.
L’indagine, avviata in seguito ai preoccupanti dati raccolti nel corso di 156 interviste che avevano evidenziato le condizioni di vita di 500 bambini rifugiati, rivela che più di metà dei 500.000 bambini registrati presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) non ha accesso a nessun tipo di istruzione. Contro questo dato, il numero di studenti “non–libanesi” iscritti a scuola per l’anno scolastico 2015–2016 è di 245.000.
Soprassedendo sull’enormità dei numeri, che mettono in ridicolo i piagnistei vittimisti e xenofobi dell’Occidente, un’analisi fredda, che ignori la vita degli altri 250.000 fuori dalle scuole, potrebbe rilevare che l’attivazione didattica di circa metà dei rifugiati sia un discreto primo risultato.
Tuttavia è passato più di un’anno da quando il governo libanese ha chiesto alle Nazioni Unite di interrompere il censimento di rifugiati. Oggi il numero di rifugiati proiettati sul Paese è superiore al milione — e non c’è modo di sapere quanti siano bambini, e quale sia la loro situazione educativa.
Human Rights Watch riconosce l’impegno da parte del Governo libanese di attivare misure di emergenza per sostenere il diritto all’istruzione dei bambini siriani: l’iscrizione alla scuola pubblica è libera, gratuita e non legata al permesso di soggiorno, e da questo anno scolastico è stata attivata una seconda apertura pomeridiana per permettere alle scuole di sostenere sostanzialmente il doppio degli studenti.
Tuttavia, delle 200.000 strutture che dovevano ospitare classi per bambini siriani, più di 50.000 non sono state poi portate a compimento.
L’accesso all’istruzione è una delle vie chiave di assistenza per le famiglie di rifugiati: ma questa non può fermarsi a quella elementare. I dati sono inequivocabili se si osserva la fascia demografica tra i 15 e i 18 anni: tra i 82.744 siriani registrati dalle Nazioni Unite, solo 1.287 sono iscritti a scuole secondarie.
L’accesso a scuole secondarie è particolarmente complesso — non solo è necessario passare un test nazionale di ammissione, ma gli istituti sono molto meno diffusi sul territorio, costringendo spesso i ragazzi a lunghi viaggi, viaggi dove sono regolarmente sottoposti a rigidi controlli, che sono invece risparmiati ai bambini.
Si crea una vera e propria barriera ai 15 anni: le scuole sono poche, per frequentarle è necessario un permesso di soggiorno – a differenza delle elementari.
La pratica per ottenere il permesso di soggiorno è particolarmente complessa: la Repubblica libanese non ha firmato la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, e il successivo Protocollo di New York del ’67, per cui non riconosce automaticamente lo status di rifugiati ai migranti registrati con le Nazioni Unite.
L’iter per aggiornare il permesso di soggiorno, annuale, prevede il pagamento una tantum di 200$, presentare il permesso di ingresso rilasciato al confine al momento di “emigrazione,” un indirizzo di residenza — un dato estremamente complesso da ottenere dalle municipalità per chi vive in un centro di accoglienza – e due fotografie approvate e bollate. Compresa tutta la burocrazia, il costo totale è di quasi 300$ annui a persona, un costo insostenibile per famiglie che spesso vivono al confine o al di sotto della soglia di povertà assoluta, in una Paese dove comunque il PIL pro capite a stento sale sopra i 10.000 dollari.
La Repubblica libanese sostiene che l’influsso di migranti causato dalla guerra in Siria sia costato al Paese 13.1 miliardi di dollari. Il supporto economico internazionale a progetti per l’espansione del programma di istruzione per tutti del governo è fondamentale ma, suggerisce Human Rights Watch, senza profonde riforme politiche in senso d’accoglienza le speranze dei giovani siriani intrappolati dalla guerra in Libano resteranno impossibili.