È il 1866 quando la Bruderkrieg, la sanguinosa guerra tra l’Impero d’Austria e il Regno di Prussia, travolge la cittadina tedesca di Gottinga, uno dei poli accademici più floridi per la matematica del XIX secolo, che in quel momento si sta muovendo velocemente verso teorie sempre più astratte e raffinate.
Mentre la battaglia infuria, il promettente discepolo di Carl Friedrich Gauss, Bernhard Riemann, scruta la scena torvo, arroccato nella dimora del suo defunto maestro: un osservatorio astronomico in cui vive e lavora in solitaria ai più profondi quesiti della dottrina.
Da silente reazionario, Riemann teme di finire nelle grinfie dell’invasore, perciò raccoglie in fretta e furia i propri averi e scappa in Italia, ma è costretto a lasciare indietro una parte dei suoi appunti, che in seguito la governante getterà nel camino. Forse logorato dallo spavento e da quella fuga improvvisa, Berhnard Riemann morì di Tubercolosi il 20 luglio del 1866, esattamente 150 anni fa.
Gli scienziati dei secoli futuri piansero senza pace la perdita di quei fogli andati bruciati, che probabilmente contenevano gli indizi per risolvere il più grande enigma della storia della matematica, una congettura che a distanza di oltre un secolo e mezzo rimane ancora indimostrata.
“Tutti gli zeri non banali della funzione Zeta di Riemann ζ(s) appartengono alla retta critica R(s) = ½”, questa è la definizione dell’Ipotesi di Riemann, un enunciato conciso che tuttavia racchiude un concetto sconfinato, criptico e affascinante, un principio che dissolve l’apparente caos con cui si succedono i numeri primi – gli atomi della matematica – rivelando al suo posto la presenza di un preciso ordine.
A partire dal 1859, l’anno in cui per la prima volta il genio tedesco espose il problema formalmente, i più brillanti matematici del mondo si sono lanciati all’attacco dell’Ipotesi, tentando di dimostrarla o di confutarla, senza successo.
Da sconosciuta qual era, la congettura si diffuse nella comunità matematica come un innocente indovinello, tramite passaparola, acquisendo prestigio e notorietà da ogni tentativo di dimostrazione fallito, ma ben presto la sua fama crebbe fino a farla diventare una leggenda, paragonabile ad una fortezza inespugnabile piena di tesori, una nuova Excalibur che ancora nessuno è riuscito ad estrarre dalla roccia.
Fu a questo punto che la comunità matematica comprese la serietà della questione e tentò di stimolarne lo studio ponendo in premio una grossa somma di denaro per chi fosse stato in grado di dimostrare l’Ipotesi, una cifra che oggi ammonta a un milione di dollari e che porta il nome di “Millennium Prize”.Va detto però che, fino alla metà del XX secolo, la ricerca di una dimostrazione per l’Ipotesi di Riemann era quasi esclusivamente una sfida tra il matematico e la matematica, un confronto spirituale e individuale, paragonabile alla ricerca del Graal per un cavaliere della tavola rotonda.
Ma, alla fine degli anni ’70, la brillante intuizione di tre giovani scienziati statunitensi e la decisione forse avventata di alcuni imprenditori cambiarono le regole del gioco, strappando l’Ipotesi dal contesto astratto in cui era nata per trascinarla al centro del nuovo frenetico mondo dell’e-business.
Stiamo parlando di Ronald Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman, i dottorandi del MIT che intravidero nella congettura di Riemann la via per l’odierna cyber-security.
L’ipotesi infatti, sarebbe già stata probabilmente dimostrata se si conoscesse un metodo veloce per scomporre in fattori un numero formato dal prodotto di due numeri primi (fattorizzazione). Se si utilizzasse il metodo classico per un prodotto piuttosto grande (ad esempio di 10000 cifre), la fattorizzazione richiederebbe un tempo di calcolo enorme anche per i moderni calcolatori.
I tre matematici capirono allora che i numeri primi potevano essere utilizzati dai clienti del mercato virtuale come delle chiavi usa-e-getta per criptare e decriptare i messaggi scambiati, di cui l’unico elemento visibile sarebbe stato il prodotto numerico delle chiavi – una sorta di grosso lucchetto.
Nello specifico, all’inizio di ogni transazione, il meccanismo informatico pesca quattro chiavi a caso da un elenco tabulato di numeri primi a 100 cifre e ne assegna due all’acquirente e due al venditore.
A questo punto, gli interlocutori usano uno dei due numeri primi “personali” per impacchettare i messaggi e l’altro per spacchettarli, così che, quando l’informazione viaggia sul web, gli unici elementi visibili sono i due grossi lucchetti che ne proteggono il contenuto. Così, anche se un malintenzionato intercettasse un messaggio, impiegherebbe tantissimo tempo prima di riuscire a “scassinare” il lucchetto (cioè a fattorizzare il grande numero), e per allora la transazione sarebbe già conclusa.
Viene così pubblicato l’algoritmo RSA (dalle iniziali dei suoi inventori), che dal 1977 ad oggi costituisce il meccanismo di base per la protezione del commercio elettronico. Si tratta di un algoritmo decisamente solido, ma non infallibile.
Infatti, buona parte della comunità matematica è seriamente convinta che una possibile dimostrazione o confutazione della congettura di Riemann potrebbe effettivamente contenere un metodo di fattorizzazione veloce, con cui sarebbe possibile eludere la sicurezza elettronica, portando al collasso l’intero business digitale.
Lasciando da parte lo scenario catastrofista, qualora si trovasse una dimostrazione all’Ipotesi vi sarebbero comunque molte conseguenze, in quanto essa compare persistentemente in diversi campi della tecnica, anche molto diversi l’uno dall’altro.
Per dirne una, tra gli appunti salvatisi dal braciere di Gottinga sono contenute le bozze di ciò che oggi è conosciuto come il “Problema di Riemann” (oppure “problema della sfera di fluido in rotazione”), ossia un risvolto teorico dell’Ipotesi nell’ambito della meccanica dei fluidi.
Quest’ultima è nota per essere una scienza “incompleta”, i cui problemi sono spesso risolvibili esclusivamente per via numerica e approssimata, ma la dimostrazione dell’Ipotesi potrebbe invece consentire di trovare dei risultati analitici e precisi, aumentando quindi l’efficienza di tutte le tecnologie operanti con i fluidi.
Inoltre, secondo le teorie di Hugh Lowell Montgomery, Freeman Dyson e Andrew Odlyzko, l’ipotesi sarebbe connessa anche al complesso mondo della fisica subatomica, perchè alcune sequenze di zeri non banali della funzione di Riemann corrisponderebbero agli intervalli energetici nei nuclei degli atomi pesanti (i cosiddetti “tamburi quantistici”).
Sempre in quest’ambito, la matematica introdotta da Berhard Riemann viene abbondantemente impiegata anche per coniare le teorie cosmologiche, dunque l’eventuale dimostrazione potrebbe portare a nuove scoperte sul comportamento dell’atomo, delle interazioni fondamentali e dell’universo.
È difficile dire con esattezza cosa potrebbe succedere qualora l’Ipotesi di Riemann venisse dimostrata. Lo scenario più romantico rimane quello del cataclisma monetario, in cui un genio della matematica sfrutta la dimostrazione per intascarsi i capitali in circolo su internet.
A questo proposito, chissà se Rivest, Shamir e Adleman hanno mai realizzato che tutto il denaro del mondo è una somma molto più allettante del milione di dollari del Millennium Prize.