Il 19 luglio, come ogni anno, a Palermo si ricordano le vittime della strage di via d’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta.
A Milano, davanti all’albero Falcone e Borsellino — piantato in via Benedetto Marcello nel 1993 — si è svolta come ogni anno la cerimonia di commemorazione per i due giudici che guidarono il pool antimafia.
Il vicesindaco Anna Scavuzzo ha ricordato alla cittadinanza l’importanza della memoria e della lotta alle mafie:
“Non smetteremo mai di ricordare il sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, perché le loro uccisioni segnarono un punto di svolta storico nella lotta contro la criminalità organizzata da parte dello Stato. Da allora è chiaro a tutti che la battaglia contro le mafie riguarda la società intera e che la sua sconfitta è indispensabile per la vita e la crescita civile, sociale ed economica del nostro Paese. Dal Comune di Milano è venuto un impegno fortissimo in questa lotta, con iniziative e provvedimenti che hanno coinvolto la magistratura, le forze dell’ordine, i sindacati, le associazioni imprenditoriali e la società civile nel suo complesso. Questa è una battaglia che vogliamo continuare insieme. Milano continuerà ad essere un modello di legalità.”
La parola è passata poi a Lucilla Andreucci, referente dei Campi Estate Liberi organizzati da Libera, che porta avanti progetti di riutilizzo sociale come segno di risposta: “Tanti ragazzi decidono di dedicare una settimana della loro estate nei campi di Libera di tutta Italia. Questa settimana siamo a Trezzano sul Naviglio a sporcarci le mani per imbiancare un bene.”
Ormai da qualche anno le giornate di commemorazione delle vittime di mafia diventano nella nostra città occasione per riscattare il Comune, vessato da inchieste sull’infiltrazione mafiosa al Nord.
Con la precedente giunta è nata la Commissione consiliare antimafia che ogni sei mesi porta in Consiglio Comunale delle relazioni sul radicamento delle mafie nel territorio e di cui oggi si terranno le nuove elezioni del presidente e del vicepresidente.
L’operato della commissione negli ultimi anni è stato fondamentale soprattutto come vedetta di controllo per la miniera d’oro di Expo.
Il primo cittadino Beppe Sala all’incontro tenutosi ieri a Palazzo Marino in ricordo delle vittime di via d’Amelio ha affermato che Expo è l’esempio di come la città di Milano sia in grado di bloccare le infiltrazioni mafiose sul territorio.
Dopo di lui ha preso la parola David Gentili che, forse indirettamente o forse no, gli ha risposto che non esiste attività imprenditoriale che non abbia avuto a che fare con la mafia.
Gentili ricorda gli ultimi traguardi che ha raggiunto la magistratura milanese, traguardi che provano l’importanza del ruolo della Commissione e del Comitato antimafia e smentiscono in parte le parole dette poco prima da Sala — che nel frattempo lascia la stanza.
Un’inchiesta all’inizio di questo mese ha portato all’arresto di 11 persone per reati tributari, riciclaggio e associazione a delinquere con l’aggravante della finalità mafiosa.
I personaggi che popolano queste storie di infiltrazione mafiosa al Nord sono imprenditori già sfiorati in precedenza da inchieste di mafia, ma mai indagati. Tra i reati commessi ci sono quelli legati al traffico illecito di rifiuti, rifiuti che a Milano contaminano il sottosuolo di interi quartieri (Santa Giulia o Buccinasco dove i cittadini non possono bere l’acqua del rubinetto) e tratti di autostrada, per esempio la BreBeMi: 62 chilometri costati 2,4 miliardi; una autostrada considerata inutile da gran parte della cittadinanza, con un traffico bassissimo, come testimonia un celebre video in cui dei ragazzi giocano a calcio indisturbati tra le corsie.
Dall’indagine svolta dal Dda di Milano nel territorio di Expo sono venute a galla le infiltrazioni mafiose nella costruzione del Decumano e di alcuni padiglioni: questa volta si tratta di infiltrazioni di Cosa Nostra e non di tipo ‘ndranghetista — le cosche calabresi hanno subito una battuta d’arresto dopo l’Operazione Infinito, guidata da Giuseppe Gennari nel 2010, che ha messo nero su bianco le relazioni di potere fra ‘ndrangheta e imprenditoria in Lombardia e non solo.
L’economia criminale e l’imprenditoria del nord Italia sono l’espressione di una nuova mafia — che poi tanto nuova non è — una mafia invisibile e silenziosa, che dalle stragi del 1992-93 ad oggi ha deciso di attuare una sorta di pax mafiosa per poter portare avanti i suoi affari sotto silenzio.
Il ponte tra Nord e Sud era stato scoperto già con il processo Spatola, presieduto da un giovanissimo giudice Falcone. Rosario Spatola è stato un potente imprenditore edile e trafficante di stupefacenti e assieme a lui nel processo sono stati condannati componenti della famiglia degli Inzerillo, dei Fidanzati e Vittorio Mangano, già condannato al maxiprocesso per un totale di 13 anni, come ci ricorda una famosa intervista a Borsellino.
Uscito di galera nei primi anni Novanta, Mangano diventa stalliere ad Arcore e gestisce, assieme ai fratelli Dell’Utri, gli appalti, il riciclaggio e i traffici di stupefacenti di Cosa Nostra con il nord Italia e con il Sud America grazie ai legami con la famiglia Cuntrera Caruana, chiamati i Rothschild della mafia, i banchieri di Cosa Nostra, residenti in Venezuela.
Sono questi gli anni, a cavallo tra fine e inizio secolo, in cui Cosa Nostra inizia a farsi i contatti al Nord. Esattamente come a partire dagli anni Cinquanta aveva fatto la mafia corleonese per infiltrarsi nella politica e nell’imprenditoria palermitana, costruendo una città corrotta. Interi quartieri, distrutti dalla guerra, vennero ricostruiti senza alcun criterio provocando un’espansione edilizia dissennata: era il cosiddetto sacco di Palermo.
Dalla fine degli anni Novanta, la mafia ha agito in maniera simile al Nord e la Commissione consiliare antimafia nata il 9 febbraio 2012 è stata costituita proprio per impedire che anche Milano venisse saccheggiata da folli accordi imprenditoriali.
Il Professor Teri del liceo Volta ha ricordato ieri a Palazzo Marino l’importanza dell’operato di Falcone e Borsellino, che hanno messo in discussione la parte della nostra storia che vede lo Stato affiancato dalla mafia, lasciando che l’opinione pubblica e le istituzioni li considerassero delle anomalie.
“Lo Stato li ha lasciati soli e noi non ci daremo pace finché quello stesso Stato non giudicherà se stesso. Parallelamente dobbiamo insegnare ai ragazzi che le regole sono la migliore ribellione alla corruzione.”
Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi, avvocato e collega di Borsellino negli anni Ottanta, ha concluso la giornata commemorativa ricordando che “è importante continuare ad organizzare quest’evento perché le vittime che commemoriamo sono persone straordinarie in senso stretto. Quando lavoravo al Consiglio superiore della magistratura di Palermo accanto a Borsellino pensavo fosse solo un tecnico. In realtà sia lui che Falcone andavano a parlare nelle scuole: avevano capito che il lavoro nelle aule non poteva bastare e che è importante che esista una cultura antimafiosa. A questi uomini non è ancora stata fatta giustizia.”