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Il modo in cui la stampa e l’opinione pubblica orbitino puntualmente attorno a questi exploit di “europeismo cattivo” è solo un altro dei tanti sintomi dell’appiattimento dello scontro europeismo contro euroscetticismo all’interno della dialettica conservatrice.

Andrà in onda questa sera alle ore 21, sulla televisione tedesca Deutsche Welle, un’intervista al Commissario Ue al bilancio Günther Oettinger. Un’anticipazione del giornalista Bernd Thomas Riegert ha scosso l’opinione pubblica italiana e europea già questo pomeriggio, perché per amor di brevità il reporter ha reso particolarmente evidente la violenza delle parole del commissario, che ha dichiarato ai suoi microfoni: “Quello che temo e che penso accadrà è che le prossime settimane finiscano per mostrare drastiche conseguenze nei mercati italiani, sui titoli e sull’economia, così vaste che dopotutto potrebbero spingere gli elettori a non votare per i populisti di destra e di sinistra. C’entra la possibile formazione del governo. Posso solo sperare che questo abbia un peso nella campagna elettorale e che mandi un segnale perché non venga data la responsabilità di governare ai populisti di destra e di sinistra.” (traduzione grazie al Post, che ha fatto notare come il virgolettato riportato dalla stampa fosse inesatto) (a proposito, se qualcuno riesce a trovare questi fantomatici populismi di sinistra in Italia ci faccia sapere)

Questa volta Oettinger è stato così fuori luogo da smuovere persino una presa di posizione da Donald Tusk

Secondo una nostra fonte all’interno delle istituzioni europee, inoltre, l’Alto rappresentante agli esteri, Federica Mogherini, avrebbe chiesto a Juncker di chiedere a Oettinger di fare una rettifica.

Tralasciando il fatto che evidentemente nessuno ha ancora insegnato Oettinger come non regalare voti all’opposizione, il commissario Ue — che negli ultimi anni ha assunto più di una volta il ruolo di antagonista istituzionale — è in buona compagnia. Settimana scorsa, un numero non piccolo di giornali tedeschi si è lasciato andare a commenti inopportuni e beceri sulla situazione politica italiana. Il settimanale Der Spiegel ad esempio aveva pubblicato un editoriale intitolato “Gli scrocconi di Roma,” un titolo che si commenta da sé e aveva sollevato un polverone in un momento già non proprio sereno della politica italiana.

A loro parziale discolpa, l’Italia è impantanata in una situazione su cui è facile fare sia ironia che disprezzo. Ma si tratta di bordate così fuori luogo, così esagerate, che sono state criticate anche dal presidente Mattarella stesso, nel suo discorso di domenica — quello per il quale tanti lo hanno accusato di essere uno schiavo di Berlino.

L’attitudine della politica e dei media tedeschi (e non solo) nei confronti dell’Italia è la stessa da decenni, e può essere etichettata in un modo ben preciso: razzismo. L’Italia, colpevole di essere parte di quell’Europa mediterranea pigra e piena di debiti, è da sempre nel mirino di opinionisti esteri, in particolare conservatori, abusando di luoghi comuni colorati di chiaro razzismo e classismo. Erano le stesse critiche che, durante gli anni di Berlusconi, accoglievamo con umiltà, e non sono mai cambiate. Abbiamo parlato della questione con Brando Benifei, Europarlamentare del Pd. “Sono un razzismo a bassa intensità, esistono anche gli italiani che pensano che i tedeschi siano così rigidi da essere per forza nazisti… Oettinger, che fa parte della destra della CDU, stava parlando al suo elettorato — Oettinger tra l’altro è già noto per aver fatto gaffe con donne e gay.”

 

La virulenza e il cattivo gusto dei conservatori tedeschi, da una buona parte di stampa italiana — soprattutto quella, guardacaso, conservatrice — viene spesso bollata come inaccettabile ingerenza, ma comunque inserita in un contesto semi-goliardico di rivalità tra paesi vicini, in cui un giorno uno sfotte l’altro perché è mafioso, e il giorno dopo lo sfottuto gli replica dandogli del mangiacrauti con uniformi sospette nell’armadio.

Entrambi le parti in causa però fanno parte dello stesso sistema politico: quello conservatore appunto, fondato sulla presunta caratterizzazione etnica e un determinato atteggiamento nei confronti degli stranieri, specie quelli percepiti come per qualche motivo “inferiori.” Il carburante politico che in Germania fa percepire l’Italia, la Grecia o la Spagna come pigre pietre al collo del virtuoso paese teutonico è lo stesso grazie a cui Salvini si scaglia in modo contro “la Merkel” o le istituzioni europee.

Il modo in cui la stampa e l’opinione pubblica ruotano attorno a queste fiammate di “europeismo cattivo” è solo un altro dei tanti sintomi dell’appiattimento dello scontro europeismo-contro-euroscetticismo all’interno dello spazio conservatore. “Questa situazione ha portato ad affiancare molto più di quanto sia la realtà delle cose l’azione dell’Europa ai ceti sociali più alti, e l’antieuropeismo come naturale per chi si sente lasciato indietro dalla globalizzazione,” secondo Benifei. “È un ragionamento che va contrastato perché è favorevole allo sviluppo di un ragionamento di estrema destra, di smantellamento della costruzione europea anche nei suoi aspetti sociali e di coesione.”

Un meccanismo autoalimentante che schiaccia in maniera irrimediabile le politiche progressiste e europeiste in un corridoio sempre più stretto, fuori dai dibattiti e dal mindshare del pubblico. Come presentarsi e cosa dire ai cittadini, senza cedere a facili nazionalismi o rabbioso euroscetticismo, è una delle grandi sfide del Partito democratico e delle nuove sinistre italiane.

“In parte è una forzatura delle cose: molte cose di cui l’Europa si occupa sono sviluppate per sostenere chi è in difficoltà non sono riconosciute: come le politiche di coesione, che ad esempio in sud Italia garantiscono soldi che le regioni non avrebbero. Oggi abbiamo approvato la riforma del distacco transnazionale, sui lavoratori bulgari o romeni ad esempio che vengono portati a lavorare in Italia con stipendi delle zone di origine: abbiamo messo un fortissimo argine a tutti questi abusi.”

“La proposta che facciamo come PSE,” continua Benifei, “non è solo sviluppare il pilastro sociale per rendere più protettivo il sistema sociale europeo, ma dobbiamo rafforzare le tutele dei lavoratori, dei diritti sociali, e si può fare solo a livello europeo, più che a livello nazionale.”


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