la barca di Proactiva Open Arms si prepara a salpare da Badalona, 28 giugno 2016, foto cc Ajuntament Barcelona
Le accuse sono state formalizzate dopo che giovedì scorso l’equipaggio della nave si è rifiutato di consegnare alla guardia costiera libica circa 200 migranti.
La repressione dello stato italiano contro le organizzazioni non governative che si occupano di soccorrere i migranti nel Canale di Sicilia ha raggiunto un nuovo livello. Il 18 marzo, la procura di Catania — il cui vertice Carmelo Zuccaro non è nuovo a posizioni durissime e discutibili contro i volontari del mare — ha chiesto il sequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms, formulando un’ipotesi di reato molto grave: associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Il comandante della nave, il coordinatore a bordo e il responsabile della Ong hanno ricevuto un avviso di garanzia.
Le accuse sono state formalizzate dopo che giovedì scorso l’equipaggio della nave si è rifiutato di consegnare alla guardia costiera libica circa 200 migranti, che stavano ricevendo soccorso proprio in quel momento. Secondo le testimonianze di chi era a bordo, la guardia costiera — se così la si vuole chiamare — avrebbe intimato all’equipaggio di consegnare i migranti minacciando di fare fuoco su nave, soccorsi e soccorritori.
Abbiamo raggiunto al telefono Ruben Neugebauer di Jugend Rettet, un’altra Ong a cui è stata sequestrata una nave, con accuse dello stesso ordine di quelle mosse ad Open Arms. “Non riusciamo a capire perché la loro nave sia stata confiscata, dato che si sono semplicemente comportati secondo le leggi internazionali.” La legge del mare infatti impone che le responsabilità di soccorso siano messe davanti a qualsiasi altra considerazione.
“Se avessero consegnato le persone alle forze libiche, quello sarebbe stato una violazione dei codici internazionali, dato che ovviamente si trattava di salvataggio. Per questo proprio non riusciamo a capire perché la loro nave sia stata confiscata,” ha continuato Neugebauer. Inoltre, come noto, la guardia costiera libica è un’autorità tutt’altro che affidabile riguardo la gestione di persone a rischio.
Finora non ci è stato possibile raggiungere Proactiva per avere una dichiarazione. La motivazione che ha spinto la Ong a non consegnare i migranti alle autorità libiche però pare chiara: in Libia i migranti sarebbero stati condannati di nuovo a una serie di soprusi e gravissime violazioni dei diritti umani. Inoltre, ha riferito il comandante della nave, a bordo c’erano diverse persone in condizione di salute critiche. Ha chiesto quindi di attraccare in Italia, ma il permesso è arrivato solo dopo varie ore di silenzio e una complicazione diplomatica – essendo una nave spagnola, gli è stato detto che avrebbe dovuto chiedere al governo iberico di parlare con quello italiano per farsi dare l’OK all’attracco.
Secondo la procura, però, tutto questo potrebbe costituire reato. Il comandante della nave avrebbe deciso di violare consapevolmente gli accordi che dovrebbero regolare le dinamiche tra acque libiche italiane: secondo la procura, “le operazioni sono avvenute tutte in acque SAR libiche”. Questo passaggio rischia di rendere infondata tutta l’accusa, per il semplice fatto che non esistono acque SAR libiche, come sottolinea un ottimo articolo di Famiglia Cristiana.
Le acque SAR infatti sono una particolare categoria di acque territoriali, un’area in cui gli stati hanno la responsabilità di soccorso. Ma è anche responsabilità degli stati richiederne l’attivazione, secondo gli accordi internazionali a riguardo. Le autorità libiche, semplicemente, non lo hanno mai fatto — dunque le acque SAR libiche non esistono.
È difficile non inserire questo atto giudiziario nel quadro di generale intimidazione che le autorità statali italiane sembrano portare avanti contro le Ong che si occupano di soccorrere disperati alla deriva.
Al blocco fisico dei mezzi di soccorso — che costituisce ovviamente un impedimento gravissimo — si aggiungono anche insinuazioni morali su queste persone, accusate di essere un’associazione a scopo delinquenziale, un reato grave e che in Italia rimanda molto facilmente, nel discorso pubblico, a forme molto gravi di criminalità organizzata.
Questa strategia va avanti da ormai vari mesi, e sembra essere uno dei pilastri sui quali il ministro dell’Interno Minniti ha costruito la propria politica riguardo alla gestione della crisi migratoria. Qualche mese fa, in visita a Milano, siamo stati testimoni dell’atteggiamento pubblico del Ministro, che a una domanda sulle Ong aveva fatto capire di essere scettico sulla loro buona fede e in generale di essere poco ben disposto verso di loro e il loro operato — ma senza addurre una vera motivazione al proprio atteggiamento.
Già negli scorsi mesi abbiamo fatto notare come questa strategia fosse non solo devastante a livello umanitario, ma anche inefficace per lo scopo che si prefiggeva: contenere l’avanzata delle destre usando le loro armi per combattere il fenomeno migratorio. Dopo le elezioni del 4 marzo, possiamo amaramente constatare di avere avuto ragione: il centrodestra ha stravinto e Matteo Salvini è uno degli arbitri della politica italiana, in lizza per la formazione del nuovo governo. Fino ad allora, però, il ministro dell’interno sarà ancora Marco Minniti, il quale è dunque ancora in tempo per ammettere l’errore. Coglierà l’occasione?
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