Dopo ventitré anni di diffusione sempre piú di massa, esplorare siti internet abbandonati è un’avventura, come quella di Brendan Fraser nella Mummia.
L’Internet ha perso da poco la sua stimmate di fenomeno strano e di nicchia, raccontato nei media di intrattenimento degli anni Novanta e dei primi anni Zero come interesse esclusivo di un certo stereotipo di personaggio caratterizzato da occhiali con grosse montature, camicie a quadri e scarse capacità sociali.
Parlando di primi anni zero, l’altro giorno ho letto un nome che non sentivo da molto tempo: Brendan Fraser. Brendan Fraser è un attore che raggiunse l’apice della sua fama attorno all’inizio del millennio e dopo aver recitato in alcuni film d’azione cult come La Mummia, è lentamente scomparso dai riflettori. Per curiosità mi sono messo a cercare su internet che cosa stia facendo in questo momento e mi sono imbattuto nel suo sito web.
In quanto millennial nato a inizio anni novanta, mi ricordo ancora di quando internet non era diffuso così ampiamente come oggi.
Nei miei incubi ogni tanto sento ancora il dial-up dei vecchi modem quando tentavano di connettersi alla rete e mio padre mi urlava di staccarmi dal computer perché doveva usare il telefono e ai tempi non si poteva usufruire di entrambi contemporaneamente.
Quando ho aperto il sito di Brendan Fraser, tutti questi ricordi sono riemersi contemporaneamente e mi hanno fatto tornare per un momento bambino, quando mi affacciavo per la prima volta a quel mondo magico e spaventoso che era internet. Vederlo oggi fa particolarmente sorridere, dalla home page che ci fa scegliere se visualizzarlo in HTML o in “Flash Enhanced” (Flash è stato dichiarato obsoleto ormai da anni), al fatto che occupa solo un quarto dello schermo del mio portatile perché quella era la risoluzione massima dei monitor ai tempi.
La sezione foto contiene delle immagini che possiamo ingrandire premendoci sopra per visualizzarle della dimensione di un francobollo leggermente più grosso; mentre nella sezione about possiamo leggere tre act della vita di Brendan. Il quarto atto non c’è, appare la scritta “coming soon” se proviamo a cliccarlo, ma dubito che arriverà mai in quanto l’ultimo aggiornamento effettuato al sito risale al 2005, quando il nostro attore preferito ha organizzato una mostra di fotografia a New Orleans per raccogliere fondi per le vittime dell’uragano Katrina. Questa nobile azione risale a tredici anni fa.
Curiosare per questo sito mi ha divertito e un po’ commosso per la sincerità con cui tutte le informazioni sono riportate, soprattutto se consideriamo che la presenza web di un personaggio pubblico nel 2018 può essere come questa.
Con questo non intendo assolutamente dire che Internet era meglio un tempo, anzi ho la consapevolezza che tutta questa nostalgia passi attraverso quelli che in inglese sono detti “rose-tinted glasses,” i metaforici occhiali che ci fanno vedere i ricordi in modo idilliaco e lontano dalla realtà.
Questi siti internet abbandonati da più di un decennio, che ormai possiamo trovare solo come un archeologo che va in cerca di ossa di dinosauro se facciamo un paragone relativo di tempo, sono esteticamente un pugno in un occhio – chiaramente anche per le limitazioni di HTML al tempo.
L’esempio migliore per dimostrare questo punto è aprire il sito del film cult del 1996 Space Jam, nel quale Michael Jordan e i Looney Tunes giocavano a basket contro degli alieni.
Se visitare il sito di Brendan Fraser era come assistere a una strana mostra in un qualche museo, visitare il sito di Space Jam è come esplorare una rovina in uno scenario post-apocalittico: molte sezioni, come quella dei videogiochi o del trailer, non funzionano più, mentre altre incredibilmente sono ancora in piedi.
Per esempio, sono riuscito a scaricare un file audio di Michael Jordan che dice “you guys are nuts” risalente a più di vent’anni fa, e posso trovare anche sfondi, screen saver, cartoline e altri fantastici souvenir da portare a casa.
Interessante anche il fatto che esista un about con nomi e foto delle persone che hanno creato il sito, compito oggi assegnato a anonimi web designer che lavorano dietro le quinte.
La sezione Press Box Shuttle ci informa che non ci sono news su Space Jam al momento. Peccato.
Infine possiamo notare che c’è un link al sito di un altro film della Warner Bros del 1996: Mars Attacks. Il sito non funziona più, non tutto sopravvive al passare del tempo.
Questa è una cosa che mi ha fatto riflettere perché il fatto che questi pagine che non sono aggiornate da dieci o vent’anni esistano ancora implica che il dominio su cui si trovano venga ancora pagato. Immagino che pagare dieci dollari all’anno per farlo non sia un grande problema per un enorme studio di produzione o, per esempio, per un politico americano tipo Bob Dole.
Bob Dole perse nella gara per la presidenza contro Bill Clinton nel 1996, ma la pagina web della sua campagna elettorale dell’anno resiste ancora. Questo è un caso leggermente differente da quelli riportati precedentemente in quanto non è stato letteralmente abbandonato, ma tenuto in piedi per fini educativi da 4President, che si occupa di raccogliere informazioni e documentare le varie campagne elettorali dei candidati alla presidenza USA.
Questo accanimento terapeutico non ha però influenzato la pagina in sè che, se escludiamo l’impossibilità di accedere alle sezioni “dona”, “partecipa” e ai vari media, rimane invariata da ventidue anni. Possiamo ancora leggere il programma politico del senatore Dole, i suoi programmi su educazione, tecnologia e internet, i discorsi che ha tenuto durante la campagna elettorale del ‘96 e possiamo anche se vogliamo scaricare degli sfondi per il nostro computer con la sua faccia.
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Per essere bipartisan segnalo che esiste ancora, seppur non nella sua forma originale, anche il sito del suo avversario Bill Clinton con in prima pagina uno di quegli incubi che venivano chiamati dial-up modem.
Nel 1996 avevo cinque anni quindi, per quanto mi ricordi bene Space Jam, ovviamente non ho alcuna memoria delle elezioni politiche americane di quell’anno. Per avere immagini più chiare devo fare un balzo avanti di un decennio fino al 2005, quando mio padre mi mostrò la Million Dollar Homepage.
Nel 2005 tale Alex Tew, studente universitario inglese, per pagarsi gli studi ebbe un’idea tanto semplice quanto geniale: creò questa pagina con un milione di pixel e decise di mettere in vendita ogni pixel a un dollaro, permettendo al compratore di decidere cosa mettere in quel punto e un link a un altro sito a sua scelta. In meno di un anno, Alex Tew guadagnò un milione di dollari.
Il sito è ancora online ed è ormai in parte autoreferenziale (vedi “own a piece of internet history!” o il collegamento al profilo twitter del creatore) ma tutti i link originali sono ancora presenti. Cliccatevi sopra a vostro rischio e pericolo.
Esplorare questi reperti dell’antichità mi ha fatto sentire come un certo archeologo di alcuni famosi film d’avventura che tentava di salvare dei pericolosi manufatti dalle mani dei nazisti e di portarli nel luogo in cui dovrebbero stare, ovvero in un museo.
Esiste un museo dell’Internet e non è un luogo fisico ma è online e si chiama Internet Archive / Wayback Machine.
Ecco cosa recita la loro pagina “about”:
“The Internet Archive, a 501(c)(3) non-profit, is building a digital library of Internet sites and other cultural artifacts in digital form. Like a paper library, we provide free access to researchers, historians, scholars, the print disabled, and the general public.
Our mission is to provide Universal Access to All Knowledge. We began in 1996 by archiving the Internet itself, a medium that was just beginning to grow in use. Like newspapers, the content published on the web was ephemeral – but unlike newspapers, no one was saving it.
Today we have 20+ years of web history accessible through theWayback Machine and we work with 450+ library and other partners”.
Wayback Machine è un incredibile strumento ci permette di osservare com’era, per esempio, YouTube il 31 Ottobre 2008.
Questo viaggio nel passato mi ha fatto rendere conto di quanto sia cambiato Internet nel corso di vent’anni e mi ha reso felice di quanto sia più semplice e vasto al giorno d’oggi. Penso che si sia persa un po’ di personalità a livello visivo in quanto le leggi del design e del marketing tendono purtroppo a omogeneizzare l’estetica dei media di comunicazione in cicli di tempo che diventano sempre più brevi, ma nessuno può negare che mediamente è tutto molto più piacevole da guardare al giorno d’oggi. Forse tra vent’anni qualcuno farà il mio stesso viaggio andando a visitare siti popolari attualmente e si farà una risata pensando agli strani usi e costumi digitali che avevamo.
Vi lascio con un ultimo reperto che ho trovato che non visitavo da almeno quindici anni: il sito ZOMBO.COM, risalente al 1999.
Cos’è ZOMBO.COM? Meglio chiedersi cosa NON è ZOMBO.COM. Tutto è possibile a ZOMBO.COM.