Diaframma è la nostra rubrica–galleria di fotografia, fotogiornalismo e fotosintesi. Ogni settimana, una conversazione a quattr’occhi con un fotografo e un suo progetto che sveliamo giorno dopo giorno sul nostro profilo Instagram. Questa settimana Daniele Cametti Aspri ci parla della prima mostra realizzata all’interno della appena nata house gallery HOP.
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Ciao Daniele, la mostra KM0 – KILOMETRI ZERO (L’ordinario straordinario) è la prima iniziativa di HOP – House of Photography, nuova realtà romana da te ideata. Cosa ti ha spinto a creare una house gallery?
Era tempo che giravo intorno all’idea di creare una house gallery. Per capire meglio quali sono stati gli stimoli e le convergenze che mi hanno guidato ti dovrei raccontare meglio la mia vita.
Da quando ho iniziato a lavorare ho sempre optato per una casa-ufficio. Per professione, anche oggi, dirigo una rivista di cinema, Acting News, che si occupa principalmente di produzione. Nel tempo ho affiancato anche un’attività di laboratorio di postproduzione, monto trailer e realizzo DVD e Blu Ray.
Da quando è arrivata la fotografia nella mia vita ho sempre sognato di arredare la mia casa-ufficio con le fotografie che stampavo. Man mano che poi la passione si trasformava in uno stile di vita e ho iniziato a esporre e lavorare su progetti, produrli in casa con il plotter, mi sono detto, perché no? E quando 2 anni fa ho trovato un’abitazione più grande, farlo, è stato un passo naturale. Però non volevo creare un luogo che fosse mia esclusiva. Mi piace molto condividere i miei lavori, non in senso narcisistico, ma come forma di comunicazione e sensibilizzazione verso il prossimo.
Cosa ne pensi dei social?
Con i social ho un rapporto di amore e odio. Credo fortissimamente nella condivisione come strumento di crescita, ma penso anche che siano dannosi e limitanti se fatti in maniera esclusiva, e purtroppo la tendenza è di abusarne troppo, diventando delle entità virtuali. E poi la Fotografia non si può godere su uno schermo di uno smartphone e neanche su uno di un computer. La Fotografia nasce per essere stampata e vista su una parete, in quelle dimensione, su quella carta con quella cornice. Nasce per essere contemplata, per riportare lo spettatore alla percezione che l’autore ha avuto nel momento in cui è apparsa come visione nella sua mente, proiettata dai suoi occhi, filtrata dal suo sentimento e trasferita sul supporto sensibile. Le altre sono solo immagini.
HOP dunque nasce come esigenza personale prima di tutto.
Posso dire che HOP nasce come un luogo in cui riportare la fotografia e gli autori a un livello di socializzazione concreta e reale, umana e artistica, dimenticando le barriere e rivalutando la percezione creativa e lo scambio umano.
Ma HOP non è solo questo. Questo stesso tema è indirizzato anche a chi si vuole avvicinare per cercare una consapevolezza maggiore della propria percezione per utilizzare gli strumenti fotografici come un pittore fa con i suoi pennelli, affinché questi restino tali, solo un mezzo con i quali esprimersi per comunicare la propria visione personale ed unica, e non, come spesso accade, il fine ultimo. E per pennelli o strumenti non intendo solo gli apparecchi fotografici, ma anche la camera oscura e chiara e la carta, la cornice e tutto ciò che rende la fotografia, l’opera di un autore, una visione unica e personale. Quello su cui punteremo nei nostri percorsi è la ricerca e la scoperta di una nostra privata e personale percezione del mondo circostante che sia realmente in grado di rappresentarci.
Ci hai parlato delle origni di HOP come spazio, ci puoi parlare della prima mostra KILOMETRI ZERO?
Il titolo KM0 – Kilometrizero è un altro tassello di HOP, della sua filosofia di base, la rivalutazione del nostro percorso quotidiano, di quello che abbiamo vicino a noi, di quello che nel flusso della massificazione e della globalizzazione è scomparso. Viviamo incanalati in percorsi professionali predefiniti, in canali televisivi di cui siamo passivi fruitori, in una politica che è tutto fuorché attenta a ciò che siamo. Presi dagli stimoli e dalla frenesia a cui siamo sottoposti viviamo la vita in maniera meccanica e tutto ciò che fa parte di questa catena di montaggio tende a scomparire alla nostra vista nella ripetitività dei gesti e delle abitudini. Kilometrozero è un esercizio di sensibilità nello spezzare queste catene e liberare il nostro sguardo per farlo posare su ciò che non vedevamo più. E’ un esercizio per rallentare osservando ciò che ci circonda e che la nostra ritrovata percezione riscopre con occhi nuovi, benché sia lì da sempre. È un esercizio anche per cogliere questa frattura sempre più ampia tra la dimensione umana e la dimensione imposta dal mondo che viviamo, fatta di marketing, pubblicità, status symbol ed influencer che ci portano a desiderare ciò che non siamo, creando il terreno fertile a frustrazioni ed aberrazioni che sempre più spesso finiscono sulle pagine della cronaca. La consapevolezza e l’accettazione di ciò che siamo, consente di guardare con occhi nuovi ogni cosa.
Gli autori coinvolti avevano visioni comuni o i progetti sono stati realizzati ad hoc?
I social ci hanno aiutato a studiarci ed osservarci reciprocamente. Nei nostri post, in quello scriviamo, in quello che fotografiamo ci assomigliamo tutti. Siamo accomunati dalla sensibilità. Trovarci insieme è stato automatico, i progetti erano lì, già pronti, fanno parte della nostra vita. La caratteristica degli HOPers, il gruppo degli autori di HOP, ma anche “gli speranzosi”, coloro che danno hanno e danno speranza, vivono una vita riflessiva utilizzando la propria percezione per raccontare e raccontarsi nella loro quotidianità. Questo è ben evidente dalle loro bacheche, dove il flusso delle fotografie esprime chiaramente il loro percorso. Ovviamente stiamo parlando di autori con una consapevolezza tale da poter incanalare questo flusso comunicativo in analisi esperienziali progettuali, in lavori completi con temi vari, ma tutti attinenti al Kilometrozero.
La mostra nel suo complesso è uno sguardo alla realtà quotidiana. Di Roma da qualche anno non se ne parla in maniera positiva: la vostra mostra può essere vista come una lettura della situazione attuale della capitale?
Assolutamente no. Roma non è diversa dal resto d’Italia e forse dal resto del mondo. I territori di KM0 sono ovunque si soffra questa dicotomia contemporanea tra una società sorda e cieca e una dimensione a misura d’uomo.
Ci parli brevemente di come hai coinvolto gli altri autori e quali sono i temi principali trattati dai singoli fotografi?
I lavori di Paolo Buatti, Daniele Cametti Aspri, Paolo Fusco, Angelo Marinelli, Fabio Moscatelli, Graziano Panfili, Mauro Quirini e Michele Vittori partono tutti da un presupposto comune: l’essere umano è da sempre portato all’evasione, dai problemi, dalla quotidianità, dalla normalità. Sempre più spesso è alla ricerca di ciò che non gli appartiene e vive l’oggi nell’attesa di ciò che verrà domani. I luoghi, le persone, gli oggetti che ci circondano spariscono e perdono così la loro forma e il loro senso. “KM0” è una chiave di lettura diversa per raccontare ciò che ci circonda, quello che è scomparso dalla nostra vista. Le immagini che ne fanno parte rimandano ad una fotografia lenta, pensata, sentita intimamente, che porta ad una riscoperta del mondo, ad un recupero della dimensione straordinaria nell’ordinario, ad una fotografia lontana dal reportage, dalla cronaca o dal racconto del dolore e più vicina alla poesia e alla presa di coscienza dell’oggi.
La mostra in corso è una collettiva di fotografi: è una scelta che pensi possa essere riproposta in futuro o il programma espositivo ruoterà attorno a singoli autori?
Penso di si, il modulo collettivo è quello che meglio racchiude la filosofia di condivisione di HOP. Forse per esigenze di spazio e di ampiezza dei lavori esposti, ne ridurremo il numero.
Che programmi ha HOP per il futuro?
HOP nasce da un sogno. Mi sembra di avvertire, dall’attenzione che abbiamo, che quello che cerchiamo di portare avanti sia nelle corde della gente. HOP è solo l’interprete di qualcosa di necessario per invertire il cammino che abbiamo intrapreso verso la distruzione della Fotografia, sia nel senso della perdita delle sue origini materiche, sia nel senso della perdita del suo significato come linguaggio. Oggi la fotografia è ad un bivio, abbiamo possibilità immense date dalla sua diffusione ma è sempre più grande il rischio di banalizzarla come semplice espressione tecnologica, bruciarla in un post su Facebook. Il nostro piccolo tentativo è di valorizzarla, di valorizzarne l’autore, facendola emergere come la sua personale espressione di una visione originale e di riportarla sulle pareti di una casa, la casa della fotografia, HOP, ma anche la casa di tutti. Questo è il futuro di HOP.
HOP vuole anche esprimersi come catalogo di opere fotografiche per il pubblico. Siamo infatti in procinto di varare dei corner, gli HOPsHOP, dove il pubblico potrà valutare l’acquisto di fotografie d’autore in edizione limitata, con cornici, stampa ed installazioni di pregiata manifattura. Un mercato al momento scoperto. A parte prestigiose gallerie e la grande distribuzione, in Italia c’è infatti pochissima disponibilità di questo genere di opere, contrariamente al fatto che esistono centinaia di validissimi e solidi autori meritevoli di un’occasione di visibilità e vendita, diciamo di un HOPportunità.