Il Festival della Fotografia Etica è un festival fatto dal basso: “ci hanno definiti gli agricoltori della fotografia,” ha detto Alberto Prina durante la presentazione di uno degli incontri della giornata inaugurale dell’ottava edizione del Festival della Fotografia Etica che si svolge dal 7 al 29 ottobre Lodi.
Organizzato dal Gruppo Fotografico Progetto Immagine, un’associazione di volontariato culturale non a scopo di lucro, il festival è ormai un riferimento per fotografi e amatori di tutta Italia.
Quest’anno gli organizzatori Alberto Prina e Aldo Mendichi hanno allestito 34 mostre, con la partecipazione di 20 fotografi da tutto il mondo che interverranno direttamente al festival e oltre 50 incontri.
In esposizione in questa ottava edizione anche i vincitori del World Report Award 2017, che ha visto ben 772 candidature arrivate da fotografi di 51 nazionalità differenti.
I vincitori delle cinque categorie che compongono il World Report Award sono stati
- Daniel Berehulak con They’re Slaughtering Us Like Animals, un durissimo reportage sulla terribile azione antidroga nei quartieri più dimenticati di Manila da parte del presidente delle Filippine Duterte;
- Giorgio Bianchi con Donbass Story — Spartaco and Liza che racconta la storia di un foreign fighter italiano che combatte ora con i filo-russi in Donbass;
- Emanuele Satolli con The Battle For Mosul;
- Romain Laurendeau con Derby, affascinante reportage sulla tifoseria;
- per l’ultima categoria tre vincitori Alberto Campi, Peter Bauza e Alessandro Rota.
Il festival è diventato con il tempo un punto di riferimento per i freelance e gli emergenti: “Ci teniamo a considerare emergenti non solo i giovani, ma tutti i fotografi che non hanno già vinto i maggiori premi di fotografia al mondo (il World Press, il Pulitzer e altri)”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Aldo Mendichi al tavolino di un bar nella piazza del broletto di Lodi.
Perché fare un festival di fotografia etica?
Lo scopo è quello di mostrare un tipo di fotografia che susciti riflessioni e pensieri; non è una fotografia fine a se stessa. Inoltre, la grandissima parte di quello che mostriamo è fotogiornalismo la cui missione è raccontare e far conoscere e questo secondo noi è molto etico: usare la fotografia come uno dei linguaggi possibili per raccontare.”
Il festival è nato già con questo obiettivo?
Sì, quando nacque il festival, alla prima edizione non avevamo una lira, e ci venne un’idea: sapendo che le Ong sono loro stesse produttrici di reportage fotografici e incaricano i fotografi di raccontare le tematiche specifiche, abbiamo contattato diverse Ong chiedendo se avevano dei lavori da mostrare, e nacquero così due mostre su tre della prima edizione.
Questa liason tra fotografia e Ong è stata il cuore da cui è nato il festival e poi il festival è cresciuto con tanti spazi tematici ma quello è rimasto: ad aprile ogni anno facciamo una call for entry con tutte le ong mondiali che ci rispondono con numerosi lavori che poi vengono selezionati a giugno.
Il titolo fotografia etica è un contenitore di una fotografia che deve raccontare e far riflettere l’altra operazione che il festival ha sempre voluto fare è raccontare storie dimenticate: per esempio quest’anno il sud sudan fotografato da Fabio Bucciarelli.
Voi siete un’associazione no profit, giusto?
Sì, e anche questo, secondo noi, ha che fare con l’etica assieme al lavoro volontario che permette il funzionamento del festival: ci sono 350 volontari che ci aiutano ogni anno.
Date molta importanza al ruolo del fotografo nelle vostre esposizioni.
Ci teniamo a porre al centro il fotografo: è importante che racconti lui stesso i propri scatti, questo secondo noi dà un valore immenso all’esposizione e valorizza il lavoro.
Tirando un po’ le somme: com’è andata la prima giornata a livello di affluenza?
In questa prima giornata siamo contenti, i visitatori sono aumentati già del 15% rispetto al primo sabato dell’anno scorso.
Il Festival della fotografia etica non ha un pubblico composto solo da fotografi o appassionati di fotografia, appunto perché racconta tante storie, alcune le vediamo tutti i giorni sui giornali, altre non sono mai state raccontate, in entrambi i casi sono storie crude, violente.
“Non è un festival godereccio” come ci ha detto Mendichi “Ci siamo spesso interrogati sulla cosa, ma non si possono esporre questi temi e poi fare una grande festa a fine giornata. Vogliamo che la gente vada via facendosi delle domande e non interrompa quel circuito che magari un concerto in piazza spezzerebbe.”