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Fino a domenica 8, BASE ospita la mostra NOI. Milano 1968-1977, a cura di Ranuccio Sodi, Alberto Saibene e Alberica Archinto, nell’ambito del Milano Film Festival.

La mostra, situata al piano superiore di BASE, location principale del festival, e inserita nel contesto industriale delle ex Officine Ansaldo, è composta da cinque girati divisi in cinque categorie narrative (Perdere l’innocenza, La lotta si fa dura, La città del capitale, Pagherete caro, L’inizio della fine) di quegli anni: il ‘68, con l’esplosione in città della contestazione, il ‘69 con piazza Fontana e l’inizio delle violenze, ma anche delle grandi lotte e di un senso di collettività – il noi appunto – naufragato lentamente coi fatti di Bologna del ‘77 e il conseguente ripiegamento in una società basata unicamente sull’io.20171001_204809Abbiamo fatto due chiacchiere con Alberto Saibene, sulla mostra e non solo.

Cos’è NOI. Milano 1968-1977 e come nasce?

Partiamo dalla prima, fondamentale, parola: noi, ovvero Ranuccio, Alberica e io, nati tra il ‘53 e il ‘65. Ranuccio aveva vissuto quel periodo in maniera attiva, come membro del movimento e aveva parecchio materiale. L’anno scorso, nell’intento di realizzare un progetto sugli anni Settanta, gli chiesi di accedere a qui materiali e mi colpí molto vedere una Milano militante, fisicamente diversa, in bianco e nero. Coinvolgemmo Alberica e grazie al restauro fatto fare da Ranuccio, oggi abbiamo ciò che vedi.

16 giugno 1972, disordini alla Statale di Milano
16 giugno 1972, disordini alla Statale di Milano

Cosa emerge quindi da questo materiale?

Emerge come dicevo, una Milano molto diversa in bianco e nero, l’ultimo immaginario a due colori. Negli anni Settanta il mondo era già raccontato a colori attraverso i film, ma la ridondanza mediatica non aveva nulla a che fare con quella di oggi, i mezzi erano scarsi e si andava di bianco e nero. Questo conferisce al materiale un maggior stacco storico. Forse anche un po’ di nostalgia, no? Malinconia sicuro. Oggi vediamo una Milano diversa, ma riconosciamo bene i luoghi come Piazza Duomo, corso Vittorio Emanuele.

E ci pensavo giusto stamattina, in questa domenica grigia, alla sensazione di magone, parola italiana, molto usata qui a Milano. Ecco, la nostalgia è un sentimento che prosegue, suggerito dalle immagini, ma ancora presente.

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Cosa non resta, invece, di quegli anni?

Il noi un po’ si è perso in favore dell’io. Milano è oggi attiva in forme di aggregazione diverse, soprattutto nel terzo settore. All’epoca era un tutto, unico e fortemente connotato dalla politica, oggi la realtà è più molecolare, ma significativa. L’eredità di quarantacinque anni fa inizia ad essere quella dei nonni, non più dei genitori.

Se dovessi salvare e buttare qualcosa di quella stagione, cosa sceglieresti?

Mi ripeto, sempre il famoso noi. Dovremmo dirlo di più. Non sono nostalgico in senso assoluto, non idealizzo quegli anni e sicuramente butterei via la violenza spietata a tutti i livelli e un certo lessico alquanto conformista, eredità di quegli anni e parte attiva della nostra narrazione. Oggi quando si parla di piazza Fontana, di Pinelli, Calabresi, quei temi provocano ancora un certo imbarazzo e se ne parla in maniera stentata, burocratica. Ma se non si fanno i conti col passato, la nostra giovane democrazia resterà sempre zoppa, come vediamo.


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