Il 13 settembre ha aperto al Museo delle Culture di Milano (MUDEC) la mostra “Egitto, la straordinaria scoperta del faraone Amenofi II.”
Dietro alla scelta di allestire una grande mostra sull’antico Egitto a Milano, si trova la collaborazione del museo con l’Università degli Studi di Milano, che nel 2002 ha acquisito gli archivi dell’archeologo francese Victor Loret (1859-1946), scopritore della tomba di Amenofi II. La mostra, organizzata da due professori dell’università milanese, Patrizia Piacentini e Christian Orsenigo, rimarrà visitabile fino al 7 gennaio.
La mostra sul faraone Amenofi II è il frutto della cooperazione decennale di studiosi italiani ed egiziani, che ha previsto ricerche al Museo egizio del Cairo per individuare e riscostruire i contesti di rinvenimento dei reperti nella tomba del faraone. Grazie a questo lavoro condiviso, e al supporto dell’Istituto di Cultura dell’Ambasciata italiana al Cairo, nella mostra sono presenti importanti reperti normalmente conservati al Cairo, che vanno ad affiancare, oltre gli altri oggetti provenienti da musei europei, i manoscritti e le fotografie di scavo di Loret, conservati oggi negli archivi dell’Università degli Studi di Milano. Sono questi materiali, da quindici anni patrimonio della nostra città, ad essere i veri protagonisti della mostra. Infatti, dopo una lunga sezione, che potremmo definire introduttiva, sul periodo in cui visse Amenofi, chiamato Nuovo Regno (1550 – 1069 a.C.), sulla vita del faraone (visse tra 1427 e il 1401 a.C.) e sulla sua dinastia, la diciottesima, il visitatore si ritrova all’interno di una minuziosa ricostruzione a grandezza naturala della grande camera sepolcrale, ipostila e completamente affrescata, dove Loret, nel 1898, scoprì la mummia di Amenofi. A fare da cornice sono i documenti dell’archivio Loret: le incredibili fotografie e le pagine del suo diario di scavo, grazie ai quali possiamo ricostruire lo stato della tomba al momento della scoperta.
Il percorso espositivo che conduce alla camera sepolcrale e ai materiali di Loret, mostra le trasformazioni della cultura faraonica nella sua storia plurimillenaria, per permettere al visitatore di apprezzare al meglio la raffinatezza e l’eleganza del periodo di Amenofi II. Amenofi, o meglio Amenhotep, secondo una trascrizione più corretta, era figlio di Thutmosi III. Sotto il regno di quest’ultimo, l’Egitto raggiunse la sua massima espansione e, per questo motivo, il figlio Amenofi venne completamente oscurato dal padre, venendo per lungo tempo dimenticato. È la scoperta di Victor Loret a gettare nuova luce sul faraone e sulla sua raffinata corte.
Nel 1897, Loret era stato nominato direttore del Servizio delle Antichità Egiziane e aveva deciso di concentrare le sue ricerche nella Valle dei Re. Per prima cosa, l’archeologo francese si dedicò a numerare le tombe fino a quel momento scoperte, dando la numerazione di riferimento usata tutt’oggi. Nonostante tenne la carica per soli due anni, Loret ottenne lo stesso un grandissimo successo: nel 1898, infatti, scoprì la tomba di Thutmosi III (KV 34) e quella del figlio Amenofi II (KV 35). Fortunatamente, durante gli scavi, l’egittologo tenne un diario giornaliero delle sue scoperte; questo si compone di 75 foglio sciolti piegati in tre che contengono da un lato data e luogo e dall’altro piante, schizzi, liste di oggetti e descrizioni dei ritrovamenti. Tutta questa documentazione, ritenuta a lungo perduta, è quella acquisita dalla Università degli Studi di Milano nel 2002. L’ateneo l’ha poi studiata (nel 2004, l’Università degli Studi di Milano ha pubblicato un libro con Skira: La valle dei Re riscoperta – I giornali di scavo di Victor Loret (1898-99) e altri inediti) e dal 13 settembre esposta al pubblico nella mostra al MUDEC – anche se solo per la parte che riguarda la scoperta della tomba di Amenofi II.
La tomba di Amenofi, nonostante fosse già stata frequentata dai tombaroli, non solo rappresenta una delle scoperte più importanti del XIX secolo, ma è una “scoperta nella scoperta”. Infatti, Loret restituì al mondo la bellezza del sepolcro in sé, ma rinvenne anche la mummia del sovrano ancora intonsa nel suo sarcofago, centinaia di oggetti e un “nascondiglio”: una stanza laterale semi-murata, in cui giacevano altre nove mummie reali. I corpi erano già stati trasferiti lì in antichità, dal momento che già allora le tombe della Valle dei Re venivano costantemente profanate dai tombaroli, a caccia dei mirabolanti tesori che custodivano. Questo, poi, non è un caso isolato: nel 1881, vennero infatti rinvenute più di 50 mummie un altro nascondiglio, questa volta nella necropoli tebana. Tra queste, spiccava la mummia di Ramses II, il più grande e celebrato dei faraoni egizi. Oltre a quelle di Amenofi e alle nove nel nascondiglio, Loret scoprì anche altre tre mummie, che erano state sbendate dai tombaroli a caccia di gioielli e poste sul nudo pavimento. Una di queste è stata recentemente identificata, con un esame del DNA, come la madre di Tutankhamon, la cui tomba (KV62) venne scoperta parzialmente intatta da Howard Carter nel 1922.
Dopo la scoperta, Loret riuscì a far trasferire quasi tutte le mummie rinvenute al Cairo, ma le autorità si rifiutarono per rispetto di muovere la mummia di Amenofi dal suo sepolcro. I timori del grande archeologo erano però fondati, nel 1901 la mummia venne profanata dai tombaroli che la sbendarono per rimuovere i gioielli, l’impronta dei quali rimane impressa sulle resine cosparse sul corso del faraone. Dagli anni ’30, anche Amenofi II riposa al Cairo.
La scoperta della tomba venne descritta minuziosamente dall’archeologo francese che riportava o disegnava tutto quello che si poneva davanti agli occhi. Questi incredibili materiali, che oggi appartengono ai milanesi, oltre ad essere di grande importanza storica, rappresentano un ponte tra il mondo culturale italiano e quello egiziano, in un periodo in cui legame tra questi due popoli è messo in durissima crisi.